La gioia di appartenere alla Chiesa

IV Domenica di Pasqua - Anno C - 2016

Per il messaggio per la 53a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che si celebra sempre nella quarta domenica di Pasqua, papa Francesco ha scelto un titolo: "la gioia di appartenere alla Chiesa", che può sembrare poetico o retorico, ma che invece stimola riflessioni molto impegnative.

Infatti, se guardiamo la realtà, questa gioia di appartenere alla Chiesa non è un dato di fatto evidente e conclamato, per il quale essere contenti e orgogliosi, ma un dover essere da desiderare e da realizzare. D'altra parte, ciò traspare anche dalle stesse parole del papa: "Come vorrei che, nel corso del Giubileo straordinario della Misericordia, tutti i battezzati potessero sperimentare la gioia di appartenere alla Chiesa!", che esprimono un desiderio e non una constatazione. In un momento storico di individualismo esasperato, tutte le appartenenza ideali (vedi le ideologie politiche) sono in crisi a favore di appartenenze a centri di interesse molto concreti come lo sport, i cibi, il vino, la moda, gli animali... Figuriamoci se è non è in crisi l'appartenenza alla Chiesa. E il problema non è tanto di tipo quantitativo, cioè che una percentuale molto alta di italiani dichiari di non sentirsi appartenenti alla Chiesa, ma qualitativo, cioè che anche coloro che si dichiarano cristiani in realtà non provano e non testimoniano una appartenenza forte e gioiosa.


Ma cosa significa appartenere alla Chiesa?

Ce lo facciamo dire da Gesù con il vangelo di oggi: "Le mie pecore (i cristiani) ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono". Tradotto: l'appartenenza alla Chiesa non si realizza con le dichiarazioni, ma con i fatti. Ricordiamo il figlio della parabola, che promette di andare a lavorare nella vigna, ma poi non ci va (Mt 21,28-32)? E' necessario seguire "il pastore" e seguirlo, lasciandosi condurre. Diversamente si cade nella separazione tra fede e vita, dove non si riesce a distinguere chi è cristiano e chi no.

Come si è arrivati a questa situazione? Ci siamo accontentati per troppo tempo diuna fede scarsa di motivazioni, incapace di incidere sulla realtà di ogni giorno e di creare reazioni che costringono ad agire in un modo o in un altro, perché non testimoniata da "discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo", come Paolo e Barnaba. Perché ci siamo accontentati di una fede senza appartenenza gioiosa e coraggiosa?
Perché "essere pecore di Gesù" non è facile: non si arriva "davanti al trono dell'Agnello" senza affrontare "la grande tribolazione", e "le pie donne della nobiltà e i notabili della città" (vedi le istituzioni europee allergiche a ogni sentore di cristianesimo) sono sempre pronti a cacciare dal proprio territorio coloro che non la pensano come loro.

E' necessario reagire.

La domenica del Buon Pastore e la Giornata di Preghiera per le Vocazioni ci indicano la direzione giusta: riscoprire il senso della vocazione cristiana. Essa non è, come per troppo tempo è stato lasciato intendere, diventare preti, frati e suore, ma accogliere la vita come risposta al Signore. La vocazione cristiana, infatti, non è uno stato di vita, ma rispondere alla chiamata, vivendo secondo la sua parola nei pensieri e nelle opere, in casa, in ufficio, in fabbrica, al bar, per strada..., da giovani, da fidanzati, da sposati, da single, da preti, da suore, da monaci, da laici consacrati. Un prete, un monaco, una suora che non seguono la sua parola non hanno vocazione.

Per ricreare questa appartenenza gioiosa a Cristo e alla Chiesa sono stati e sono messi in campo tentativi di ogni genere: iniziative di carità e di servizio, feste parrocchiali, pellegrinaggi, convegni... Tutto bene, purché tutto sia finalizzato a fare ascoltare la voce del pastore e a seguirlo, e organizzato in tal senso, altrimenti l'aggregazione si crea all'iniziativa, non alla Chiesa.

Da troppo tempo ci siamo lasciati confinare in una situazione di difesa e di lamentela. Per riscoprire la gioia di appartenere alla Chiesa è necessario ritrovare la capacità di gloriarci di questa appartenenza. Paolo e Barnaba, come i grandi evangelizzatori di tutti i tempi, non vanno in Antiochia a elemosinare un po' di comprensione e di spazio, ma con la convinzione di offrire una grande opportunità e un grande dono. E siccome "le pie donne della nobiltà e i notabili della città" non accettano: "scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio". E' per questa consapevolezza che "i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo". E' con questa consapevolezza che il desiderio di papa Francesco può essere realizzato.


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