Danzare con la solitudine

«Ci saranno momenti in cui darete tutto quello che avete per una carezza». Questa frase stordisce come un pugno, qualunque sia la nostra situazione di vita: o perché abbiamo provato questa sensazione, o perché abbiamo paura che ci possa capitare. Possiamo immaginare infatti quale situazione può generare questo desiderio lancinante: la solitudine.

Il gesuita spagnolo José María Rodríguez Olaizola fa suonare le note più profonde della nostra umanità esplorando questa esperienza senza paura di toccarne i toni più bassi e cupi ma anche con la capacità di far vibrare le note più alte e allegre. Non utilizzo a caso l'immagine musicale perché l'autore stesso sottolinea: «La solitudine, difficile compagna di alcune tappe del nostro cammino, in certi momenti e situazioni è inevitabile. Possiamo, però, imparare a danzare con lei. La sua presenza non è né la fine del mondo, né un'indicazione di fallimento. È semplicemente un'altra musica, una musica tra le tante che formano parte della colonna sonora della storia e della nostra vita».

Amante inopportuna e compagna di strada, la solitudine affianca ciascuno nei vari momenti della vita con volti diversi, come il gesuita racconta nella prima parte del libro: amata e temuta, cercata e subita, sofferta nella folla e abitata nel deserto. Per questo motivo Olaizola, nella seconda parte, approfondisce le ragioni per cui la solitudine ci assale, attraversando dinamiche profondamente umane e complesse, non solo con la capacità tecnica del sociologo ma anche con la delicatezza di un fine accompagnatore spirituale in grado di risvegliare nel lettore anche storie dolorose e ferite che tutti portiamo dentro perché «a volte è necessario addentrarsi nel fitto della nebbia per raggiungere il cielo sereno dall'altra parte».
Affronta così le ragioni che ci mordono e ci paralizzano: la sfida di vivere da soli, la tentazione dell'innocenza e di lavarsene le mani, la fugacità di relazioni senz'anima; e anche quelle che hanno a che fare con la società dell'informazione, in cui viviamo: il non parlare più come una volta perché sopraffatti dai rumori mediatici, la comunicazione vissuta come battaglia, la fluidità dell'amicizia e la ricerca di consensi; per finire con quelle ragioni che descrivono le grandi ferite dell'uomo contemporaneo: le ferite dell'amore, della morte e della fede.
Eppure: «Solitudine e incontro non sono nemici. Perché, lungi dall'essere un peso o una minaccia, la solitudine si trasforma in opportunità e fonte d'insegnamento. Perché in essa possiamo incontrarci, incontrare noi stessi e gli altri. Perché, invece di buttarci giù di morale e toglierci le forze, essa può trasformarsi in un'alleata in questa battaglia affascinante e complessa che si chiama vita. Dobbiamo solo imparare ad ascoltare la musica diversa, che ci aiuti a danzare proprio con la solitudine». Per questo la terza parte del libro, decisamente aperta alla speranza, scritta con tratto quasi poetico, accorda la musica e la danza che possono aiutarci ad affrontare le ombre. Con concretezza l'autore propone alcuni atteggiamenti che possono fare da musica alla nostra danza: trovare il coraggio di parlare di quello che proviamo, accettare lo sbilanciamento tra quello che ci aspettiamo dagli altri e quello che ci possono effettivamente dare, pensare che anche noi non siamo stati all'altezza delle aspettative altrui. Ma ci sono anche altri elementi che ci aiutano a fare in modo che dalle nostre relazioni si sprigioni tutta l'energia che la loro musica contiene: «la gratuità, la generosità, l'accettazione, la libertà e la capacità di vedere i legami che instauriamo in prospettiva cioè come storia».

Quello che resta nel cuore e nella testa, dopo la lettura del libro, che invita a sgranchire i muscoli dell'esistenza muovendoci a ritmo della danza dell'incontro con l'altro, è la certezza che la solitudine, nelle sue forme, non è l'ultima parola perché le relazioni contengono le nostre cicatrici, sono la nostra debolezza ma anche la nostra forza di cui non possiamo fare a meno... «Alla fin fine non siamo soli. Anche se a volte ci possiamo sentire così. Non lo siamo perché in tutte le nostre vite ci sono legami, relazioni ricche di possibilità, scenari in cui gli incontri diventano realtà. Siamo legati agli altri, ci vogliamo bene, ci cerchiamo, ci deludiamo. Ci riconosciamo mutuamente quando, guardandoci, capiamo che siamo fatti dello stesso fango, pieno di crepe ma anche in grado di contenere la bellezza».
Ciascuno di noi, allora, è, nei confronti della solitudine, immagine della frontiera. Muro che separa o luogo d'incontro. Che cosa scegliamo? «Noi siamo il primo nostro limite nei confronti degli altri. E noi stessi possiamo diventare luogo di separazione o di incontro, di esclusione o di apertura. Possiamo rinchiuderci in un'armatura invisibile che ci isoli o osare l'abbraccio e la danza con gli altri. E proprio lì, nel modo in cui sciogliamo queste contraddizioni, è dove ci giochiamo definitivamente la nostra capacità di danzare».

 

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Danzare con la solitudine

Chi di noi non ha provato sulla sua pelle, almeno qualche volta, il graffio amaro della solitudine? Quella solitudine che non vogliamo, quella che ci cade addosso inaspettata e non desiderata. Quella che ci fa ribellare, sognando con tutte le nostre forze una parola amica, un abbraccio che ci faccia sentire protetti, una spalla su cui appoggiarci per liberarci della stanchezza o del dolore che ci portiamo dentro... (continua).

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