Donne, coraggio e libertà

Uscire dall’inferno della tratta

Cos'è la tratta e perché ha il gusto amaro dell'inferno? Qual è il volto e la storia dei nuovi schiavi di questi anni? Chi deporta e vende vite altrui come oggetti? Chi sono quelle giovani donne che, con inganno, vengono portate in Italia e costrette alla prostituzione? E poi... da quell'inferno si può uscire?

«C'erano africani ovunque, che non facevano niente. Che strano... "Ma dove sono finita?", mi chiedevo. "Benvenuta a Castel Volturno", mi ha detto allora quell'uomo, come se mi leggesse nel pensiero. Ma aveva un tono ambiguo, come se mi stesse prendendo in giro. Ero un po' perplessa e non sapevo esattamente dove stessimo andando. Mi ha portata in un appartamento dove c'erano altre quattro ragazze».

Era solo l'inizio!

Questo potrebbe essere l'inizio di migliaia di storie tutte uguali. Giovani donne, spesso poco più che bambine, arrivate in uno dei territori più degradati dell'Italia del Sud, con la promessa di un lavoro vero, onesto e che invece vengono costrette a prostituirsi. Ma questo è in realtà l'inizio del bellissimo racconto di una di quelle pochissime donne che è riuscita a ribellarsi e a fuggire.

È la storia di una ragazza nigeriana che deve a un padre povero ma saggio la sua educazione alla cultura e allo studio. In un Paese dove la miseria, le malattie e l'ignoranza ti uccidono prima ancora che arrivi la morte vera, ti riducono a un niente che non ha più nulla di umano, lei è andata avanti con fatica, ma determinata a raggiungere il traguardo che si era data.

Con dedizione, superando gli ostacoli economici che sembravano sbarrarle la strada per sempre, ha guardato costantemente dritto davanti a sé, senza paura di lasciare la famiglia per andare a studiare in città, trovandosi dei lavoretti per essere indipendente. Avrebbe voluto fare il medico, aveva visto troppa gente morire per nulla, ma si è accontentata di una laurea in informatica, perché la vita, come le diceva suo padre, riserva sempre delle sorprese.

«Quando ho finito, mio padre era molto fiero e contento. Io un po' meno. Mi ha detto che se volevo, potevo ancora fare medicina, ma il problema era sempre lo stesso: non c'erano abbastanza soldi e poi gli altri fratelli e sorelle dovevano andare a scuola pure loro». Ma tutto lo studio e la sua vita da sola, senza protezioni, non le ha tolto l'innocenza, la mancanza assoluta di diffidenza, ed è qui che arriva chi comincia a tramare contro di lei. E il racconto inizia proprio con la sua incredulità di fronte a tanta ingenuità: possibile che una donna cristiana come lei stia minacciando la sua incolumità? Possibile che la stia blandendo per imbrogliarla?

E così, senza quasi accorgersene, con ingenua fiducia, cade in una trappola micidiale.
Ci si chiede come faccia, una ragazza savia, in un mondo pieno di insidie, a non sapere distinguere tra persone sincere e persone menzognere (e del resto chi lo sa fare davvero?), ma è qui che il suo passato di studio e di conoscenza diventa come uno scudo col quale difendersi, riuscire a parlare, chiedere, informarsi e sarà così che alla fine si salverà. Scritta con mano leggera e senza enfasi, la tragedia di una donna venduta, apparentemente inerme come lei, viene narrata con semplicità, con la consapevolezza che ormai tutto è passato.

Tracce di donne

Gli uomini, sfruttatori o clienti, hanno ruoli secondari; le donne, invece, hanno tutte un ruolo importante. Ed è interessante notare che proprio le figure maschili passano senza lasciare traccia: sfruttatori, clienti, profittatori, non hanno una vera fisionomia, un loro carattere. Forse inconsapevolmente l'autrice usa il mezzo migliore per dimenticarli (fatto salvo solo il padre), li cancella. Osserva, invece, con attenzione e descrive puntualmente tutte le donne della sua storia, persino le ipocrite mezzane.

«Anche Maman Faith è stata portata in Italia con l'inganno. Quando è arrivata, tredici anni prima, era stata trafficata senza saperlo. Faceva l'infermiera in Edo State (...). Mentre la sua amica era riuscita a far costruire una grande casa in Nigeria. Le aveva raccontato che in Italia realizzava vestiti con tessuti africani. Allora anche lei era andata a fare un corso di taglio e cucito ed era partita per l'Italia. Solo che, una volta arrivata, non c'era nessun lavoro da sarta».

«C'era un'altra donna, che si chiamava Queen: mi ha mostrato le foto dei suoi due figli e mi ha detto che doveva pagare la retta della scuola. Aveva bisogno di duecentocinquanta euro entro il giorno dopo. Era sposata e il marito sarebbe venuto a prenderla. Le ho chiesto se lui sapeva. Lei ha scrollato le spalle. Erano lì per guadagnare. Punto. (...) Ascoltavo le loro storie e mi cresceva dentro un'angoscia che non mi faceva respirare. No, non potevo finire in quel girone infernale, non potevo accettare quella vita».

Non voglio quella vita!

Tre giorni di questa vita, solo tre giorni, eppure alla nostra autrice, a questa ragazza che stava per perdere definitivamente la propria libertà, bastano per riuscire a trovare la forza di ribellarsi, per trovare il modo di allontanarsi per sempre da quella condizione insostenibile e questa volta lo fa con scaltrezza, col sotterfugio e l'inganno, le stesse armi usate per sottometterla, ma ora può usarle per un fine giusto e sarà così che troverà chi è pronto ad aiutarla. Una casa accogliente, una suora gentile, delle persone accudenti, altre ragazze con bambini piccoli che corrono per casa giocando allegramente.

Così scopre, e noi con lei, che il Sud non è solo promessa, inganno e sfruttamento, ma anche ospitalità, generosità e affetto. Ci vorrebbero tante più Case Rut per aiutare queste ragazze che ogni anno diventano più numerose e vengono brutalmente sfruttate.

Dalla prefazione di Dacia Maraini al testo Il coraggio della libertà, di Blessing Okoedion con Anna Pozzi, Paoline 2017.

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Una donna uscita dall'inferno della tratta

La storia vera di una donna che ha rischiato la sua vita per uscire dal tunnel della violenza della tratta, denunciare gli abusi e raccontare un percorso commovente di speranza.

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