Piccole e grandi trappole: «Devi sentire!»

Quello che non sentiamo non vale molto, al giorno d'oggi. Viviamo in un'epoca che esalta l'emozione, lo slancio, il sentimento, l'istinto, la passione... Forse si tratta di un qualcosa di ciclico, ma quello che è certo è che l'affidarsi alla ragione per questioni personali o per progetti di vita non aveva mai raccolto così pochi consensi.

Tutto ciò che è esatto, logico, frutto di pensiero o di riflessione, va bene per la scienza (e comunque con la premessa che tutto è piuttosto relativo). Ma nella vita pare che l'unica bussola sia il sentimento. L'allegria – la gioia momentanea – è la passione che mi trascina oggi. La tristezza è il dramma intimo di questo momento. L'emozione ci dice come vivere l'istante. In fondo, siamo figli di un'epoca che gioca a far la romantica. E dico «gioca» perché neanche in quello si fa sul serio: non prendiamo certo tutto così a cuore come i Romantici del XIX secolo, disposti addirittura al suicidio a motivo dei loro amori impossibili.
Noi, piuttosto, teniamo – o ci viene propinato – come criterio guida l'importanza di «sentirci bene», del sentirci a nostro agio, di ciò che è emozionalmente soddisfacente. Il messaggio è martellante: «Devi sentire! Che cosa senti?». La cosa più importante è sentire: sentire la vita, sentire Dio, sentire la passione, sentire il piacere, tutto...

Il problema di questo imperativo del sentimento è che affonda le sue radici nel presente più immediato. Oggi mi sento così, ma magari domani mi sentirò diverso. Se assolutizzo il sentimento presente, e lo elevo a principio interpretativo per decifrare quello che accade attorno a me, finisco per essere una fiammella che ondeggia ai capricci del vento
Dirò di più: il sentimento è capriccioso. Oggi posso «sentire» Dio molto vicino a me, e domani non «sentire» niente di niente. Se tutta la mia relazione con Dio è basata sul mio sentimento momentaneo, dalla sera alla mattina passerò dall'essere un convinto credente a essere un ateo radicale – per tornare a cambiare idea se per caso mi capita di «sentire» di nuovo qualcosa.

Detto questo, l'importanza del sentimento è comunque innegabile e ha grande peso nella nostra vita. Non si può accantonare e basta. È un indicatore molto sincero e reale dei nostri stati d'animo, di come viviamo tutto quello che ci accade, delle fonti che ci riempiono di vita e dei deserti che ci fanno inaridire, di dove teniamo il nostro cuore e di che cosa c'è al centro della nostra vita. La sfida è lasciare che il sentimento sgorghi dal profondo, che nasca nel cuore di quel tronco robusto in cui hanno radici le nostre convinzioni più profonde e i nostri sogni più autentici, i nostri dubbi e i nostri desideri. Questo, per sfuggire a un sentimentalismo troppo superficiale e manipolabile e per affondare le radici, invece, nel terreno solido della nostra storia, dei nostri desideri più veri, e della nostra umanità più autentica.

(Libera la gioia, Paoline, pp. 56-58)


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Libera la gioia, Paoline

Libera la gioia

Chi non vuole essere felice oggi? Il giovane e l'anziano, l'uomo e la donna, il celibe e lo sposato, chi crede in Dio e chi non vi crede. Chimera insensata o desiderio legittimo? È possibile una felicità liberata dalla tirannia del sentirsi bene a tutti i costi?...

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