Bussa, coraggio, non aver paura!

…oltre l’abitudine c’è sempre un tesoro.

La casa... la nostra casa! La mia e la tua. Nulla di più normale e allo stesso tempo nulla di più unico e speciale. C'è un piccolo libro, e c'è un poeta che ha dato corpo a parole speciali: è come uno scrigno e custodisce un prezioso tesoro. Non vi diciamo qual è. Vi invitiamo a scoprirlo, leggendo queste righe che, vi assicuriamo, vi faranno gustare la casa che abitate e la vita che vivete come fosse nuova.

Mi capitò un giorno. E l'avvertii come una grazia. Purtroppo anch'io sono nel numero di coloro che fanno l'abitudine alle cose. E l'abitudine è amara: ha il potere di scolorire le cose e quindi la vita. Ma la vita senza i colori che vita è? Quel giorno – che lego a una grazia – non avvenne niente di eccezionale. Solo mi accorsi che io avevo fatto l'abitudine alla casa. Come se io mi fossi installato e tutto era ovvio, scontato. Che ci fosse una porta o una lampada o chissà quanto altro era normale. Mi ero installato, ero diventato anch'io normale. Di una normalità spenta che aveva come contraccolpo quello di spegnere tutto ciò che mi circondava, come se una finestra non fosse più finestra o il pane pane o un fiore fiore: la casa in una normalità spenta. Mi ero installato.

Mai installarsi nelle cose! Tanto peggio nelle persone!

Mi occorreva una scintilla. E la scintilla fu uscire. E bussare. Provare a bussare alla casa come uno che non sa che cosa gli si apre o è cosciente di sapere solo un frammento di quello che troverà. Quasi sentissi l'invito a riconoscere le cose. Riconoscere è verbo che sposa la riconoscenza, la gratitudine. Che si cancella ogni volta che facciamo l'abitudine alle cose. Quasi non avessero un'anima e navigassero nell'indistinto. A volte anche il nome «casa» diventa così generico da smaterializzarsi, evanescente!

Giorni fa mi è capitato di pensarlo a proposito della casa di Gesù, quando lessi di Nicodemo che andò a cercarlo di notte. Lo dovette ricevere – mi dissi – in una casa. E pensandoci mi accorsi che per anni, leggendo il racconto, mi ero dimenticato di quella casa, di come quella notte la casa affondasse nelle ombre e di come una lampada – e chi mai l'aveva accesa? – vegliasse sul loro parlare fitto fitto di rinascita, di alto, di spirito e di vento. Era come se avessi strappato il racconto alla casa.

E con la memoria mi capitò di andare ancora alla casa di Gesù, ma in un'altra ora del giorno. Ne parla ancora Giovanni nel suo Vangelo: racconta di due discepoli del Battista che, proprio su sua indicazione, si misero sulle piste di Gesù. A Gesù, che chiede conto di quel loro cercare, rispondono: «Maestro, dove dimori?». Dice loro: «Venite e vedrete». «Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui: erano le quattro del pomeriggio». Ancora c'era sole. Chissà come pioveva la luce quel giorno nella casa! A quell'ora. Me lo sono chiesto parecchie volte. Come cambiano le cose al bagliore di una lampada o al filtrare di un raggio di luce da una porta socchiusa.

Un piccolo libro come una porta da aprire

Il desiderio che mi abitava nello scrivere il piccolo libro era, da un lato, quello di bussare e, dall'altro, quello di invocare un brivido di luce che facesse ardere come un'icona le cose umili di una casa. Non potevo che raccontarne poche. Lasciando a chi legge l'esercizio di gettare un fiato di luce su altre più numerose. Quasi per una consegna. Mi sono fermato a un piccolo numero. Volevo un piccolo libro. Ora che lo guardo mi sembra troppo grande per stare in una tasca, ma abbastanza piccolo per confondersi tra le tante cose ospitate in una borsa da donna, con l'odore delle cose che vengono portate nel viaggio di ogni giorno.

Se voglio essere sincero fino in fondo, mentre scrivevo, nelle vene mi pulsava e ripulsava un anelito, forse anche perché viviamo giorni di bibliche migrazioni: l'anelito che di una casa potessero godere tutti e che delle cose della casa, proprio perché essenziali, non fosse derubato nessuno. Un orizzonte che un mio amico segnalava ogni volta che celebrava un matrimonio. Era padre David Maria Turoldo, che era solito chiudere l'omelia dicendo: «Vi raccomando, non fate un appartamento, fate una casa». Appartamento dice appartarsi, chiudersi in un'isola felice; la casa dice accoglienza, dice calore dell'ospitalità, dice gioia di sollevare una stanchezza, di rimettere in movimento una speranza. «Non fate un appartamento, fate una casa».

Un libro che, aperto, bussa!

Non posso chiudere senza riscrivere le parole, tenere, e al tempo stesso limpide, rilasciate da Francesco, il vescovo di Roma, nella sua intervista alla rivista dei gesuiti, La Civiltà Cattolica. «Una cosa, per me davvero fondamentale», disse, «è la comunità. Cercavo sempre una comunità. Io non mi vedevo prete solo: ho bisogno di comunità. E lo si capisce dal fatto che sono qui a Santa Marta. Quando sono stato eletto, abitavo per sorteggio nella stanza 207. Questa dove siamo adesso era una camera per gli ospiti. Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché quando ho preso possesso dell'appartamento pontificio, dentro di me ho sentito distintamente un "no!". L'appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l'ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri». È forse l'ultimo – o il primo? – bussare del piccolo libro. Un bussare alla porta. Alla porta del cuore, del tuo cuore!

ANGELO CASATI, nato a Milano nel 1931, ordinato sacerdote nel 1954, è stato insegnante nei seminari diocesani. In seguito ha esercitato il ministero a Busto Arsizio e a Lecco ed è stato per oltre vent'anni parroco a San Giovanni in Laterano, a Milano. Nel sito www.sullaso-glia.it pubblica regolarmente il commento alla liturgia, articoli e riflessioni. Tra le sue molte pubblicazioni ricordiamo le ultime: Ospitando libertà (2010); Incontri con Gesù (2011); Le paure che ci abitano (2011); I giorni della tenerezza (2013); I giorni dello stupore (2014); Il sorriso di Dio (2014).


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