Come un canto di speranza

Ricordare è costruire un nuovo futuro

Lacrime e speranza, si alternano e si rincorrono nella storia dei popoli da tempi immemorabili. Come in un'instancabile ricerca di salvezza si scappa dalla morte per cercare vita, pace, futuro. Interi popoli lo hanno fatto e continuano a farlo. E la storia, anche quella che noi vorremmo diversa, bussa alla nostra porta...

Mondi in fuga

L'immagine simbolo del 2015 è quella del corpicino di Aylan steso sulla battigia di una spiaggia turca.
Il piccolo profugo siriano è diventato l'emblema della sofferenza di chi fugge dalla guerra. Oltre un milione di persone nel 2015, secondo l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), ha raggiunto l'Europa; in cima alla lista dei Paesi di provenienza ci sono la Siria, l'Afghanistan, l'Iraq, l'Eritrea, teatro di spaventosi conflitti. Più di 3700 persone, fra le quali il piccolo Aylan, sono morte nel tentativo di raggiungere il nostro continente.

Nel Medio Oriente dilaniato dalla guerra, le popolazioni cristiane, antiche eredi della prima evangelizzazione, sono fra le persone più a rischio. Secondo l'organizzazione cattolica Aid to the Church in Need, in alcune aree i cristiani rischiano di scomparire entro il 2020. In un video sulla situazione dei cristiani in Iraq è stato agghiacciante leggere le minacce dei jihadisti: «Sappiate che vi taglieremo la testa (...). Conosciamo le vostre case e le vostre famiglie. Vi uccideremo l'uno dopo l'altro, andatevene dalle terre dei musulmani. (...) Non ci sarà mediazione, né vi salverete col denaro (...)».

Una storia bagnata di lacrime

Fra bombardamenti, omicidi e istigazioni all'odio, la storia continua a ripetersi, distruggendo secoli di pacifica convivenza fra genti di fede diversa, che avevano trovato la propria strada al rispetto reciproco e alla tolleranza, dimostrando al mondo che cristiani, sunniti, sciiti o yazidi potevano convivere senza che le differenze religiose diventassero causa di conflitto. È una storia già accaduta, che conosco fin troppo bene.

Cent'anni fa circa, la mia famiglia, greca del Ponto e cristiana, fu cacciata dalla nascente Repubblica di Turchia per lo stesso motivo: non c'era spazio per chi era diverso, per chi aveva un credo religioso differente in uno Stato che i nazionalisti volevano omogeneo dal punto di vista della fede. Eppure, per secoli i greci avevano abitato in quelle terre, stringendo amicizie con tanti musulmani che alla politica dell'odio non erano interessati, e intrattenendo rapporti pacifici con armeni, ebrei, assiri, curdi, georgiani.

Anche cent'anni fa ci furono sanguinosi massacri che colpirono soprattutto le popolazioni cristiane: in primo luogo gli armeni, ma anche i greci e gli assiri. I miei nonni partirono nel 1923 dalla loro terra, poco lontano dalla città di Trebisonda, dove nel febbraio 2006 il sacerdote cattolico don Andrea Santoro fu assassinato da un fanatico musulmano. Come tutti i greci del Ponto, anche i miei nonni consideravano l'ospitalità un dovere sacro. Nelle loro case, c'era sempre un letto e del cibo per un ospite cristiano, ma anche per gli amici turchi, ai quali erano tributate le stesse attenzioni. Ospitare qualcuno era considerato un'azione meritevole per le anime dei morti della propria famiglia.

Ricordi che non si cancellano

Da un giorno all'altro, questa gente fu cacciata dalla Turchia, perdendo tutto.
Chi sopravvisse diventò un profugo, povero e disperato come i fuggiaschi che oggi vediamo scappare dalla guerra. Giunti in Grecia, gli esuli si rimboccarono le maniche, contribuendo alla crescita e al benessere della terra che li aveva accolti. Seppero guardare al futuro, senza mai dimenticare il passato e le loro radici, talvolta stendendo un velo di vergogna o di dolore sulle sofferenze patite. Nell'agosto 2015, una foto diventata virale su Facebook: mostrava una ricca signora ateniese, in vacanza sul suo yacht con gli amici, stringere un profugo siriano infreddolito e avvolto in una coperta. L'avevano appena ripescato dalle acque dell'Egeo, salvandogli la vita. La donna, commossa, ha dichiarato di discendere da una famiglia di greci del Ponto e di avere nel suo Dna il dolore dei profughi. Il ricordo non si cancella.

Dalle lacrime la speranza

Per questo ho scelto di dare voce alla storia di mia nonna Eratò, una goccia nel mare di un'immane tragedia.
Per questo è nato un libro.
Perché ci sia un tributo alla memoria, per non dimenticare, per capire quanto siano simili le stragi di ieri a quelle di oggi.
Ma perché ci sia anche un inno alla speranza, perché una società che sa essere accogliente può diventare più ricca.
Perché anche i nostri nonni o bisnonni, in altri momenti della Storia, sono stati profughi, immigrati, stranieri e, se hanno fatto fortuna in terre lontane, è perché qualcuno ha offerto loro un'opportunità.
Perché l'ospitalità, praticata come facevano i miei antenati, è un dovere sacro, come esseri umani e come cristiani, per non lasciare vincere l'odio, mai.

Dal libro: La ragazza del Mar Nero. La tragedia dei greci del Ponto, Paoline.

Maria Tatsos, di origine greca, è laureata in scienze politiche e diplomata in lingua e cultura giapponese presso l'Isiao di Milano. Giornalista professionista freelance, scrive per Elle e altre testate, e collabora con il Museo Popoli e Culture del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime).

 

La ragazza del Mar Nero'
La tragedia dei greci del Ponto


Una pagina di storia europea del Novecento, lasciata in ombra: la persecuzione dei greci del Ponto; un unicum nel panorama editoriale italiano.

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