Lavorare per la pace fa bene a tutti

Giornata di digiuno e preghiera

«Dinanzi al tragico protrarsi di situazioni di conflitto in diverse parti del mondo, invito tutti i fedeli ad una speciale Giornata di preghiera e digiuno per la pace il 23 febbraio, venerdì della prima settimana di Quaresima. La offriremo in particolare per le popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan», così il Papa all'Angelus del 4 febbraio 2018.

Don Roberto Ponti, ssp, sacerdote paolino di origine lodigiana, si trova in Congo da sette anni. Superiore Regionale dal 2012, risiede a Kinshasa, dove si occupa delle quattro comunità paoline presenti. È Maestro degli juniores (giovani religiosi che non hanno ancora emesso i voti perpetui) e Responsabile dell'Apostolato. Attualmente è anche presidente dei Religiosi della provincia ecclesiastica di Kinshasa e, proprio per questo, conosce molto bene quello di cui ci parla.

La parola a un testimone

Ci scrive don Roberto:

«Papa Francesco chiede il digiuno e la preghiera per la pace, in particolare per il Congo. Lo fa per sostenere la comunità cristiana che vi è implicata quotidianamente e su tanti fronti, in questo grande paese. Il Santo Padre è dettagliatamente informato sulla difficile situazione della popolazione ed è intevenuto più volte con la sua parola autorevole per chiedere l'impegno di tutti in favore della pace e della giustizia.

Se si circola per le vie di Kinshasa tutto sembra "normale", la normalità tipica di una grande capitale africana, sovrappopolata, piena di bambini, ragazzi e giovani, dove il traffico dei veicoli impazzisce e talvolta si deve bloccare davanti a una buca o a una voragine perché la strada è stata inghiottita dall'erosione e dalla mancanza di manutenzione. Questa "normalità", però, è ultimamente interrotta da momenti di grande tensione.
Da almeno due anni è in corso una crisi politica che porta con sé anche quella economica e sociale. Il processo democratico e costituzionale prevedeva le elezioni presidenziali nel 2016. Un accordo firmato il 31 dicembre 2016, con la mediazione dei vescovi, ha sancito una transizione di un anno secondo regole precise e condivise, che sono state solo in parte rispettate. Ora c'è una data per le elezioni, il 23 dicembre 2018, ma non si è sicuri di arrivarvi nelle condizioni che permettano libertà e trasparenza.
I cristiani, e i cattolici in particolare, hanno fatto sentire la loro voce con il suono emblematico delle campane ogni giovedì sera e, attraverso un comitato di laici impegnati, con marce pacifiche di protesta. Per due domeniche, il 31 dicembre 2017 e il 21 gennaio 2018, proprio per questa presa di posizione, in alcune parrocchie la Messa è stata impedita dalla presenza della polizia o dei militari o interrotta dal lancio di gas lacrimogeni. E i fedeli, che con i loro pastori hanno cercato di scendere in strada per manifestare, sono stati dispersi violentemente.

Ci sono stati feriti ed anche alcuni morti. Una ragazza in particolare, Thèrese, 24 anni, è stata colpita da alcuni proiettili ed è deceduta sul sagrato della parrocchia San Francesco di Sales di Kintambo. Partecipava al gruppo vocazionale e aveva espresso il desiderio di intraprendere la vita religiosa. Una giovane martire della libertà.

Altre situazioni di insicurezza e di violenza – con connotazioni tribali, etniche o di gestione del potere – tralasciate dall'informazione a livello internazionale, ma ugualmente molto gravi, sono quelle che avvengono nel Kasai (regione al confine con l'Angola), in Ituri (verso l'Uganda), nel Kivu e nel Tanganyka (zona est del Congo). Queste situazioni obbligano migliaia di persone a lasciare le proprie case e i propri villaggi e a ritrovarsi accolti come rifugiati in altre zone e quindi in estrema povertà. L'emergenza nutrizionale è stata dichiarata in alcuni settori dove si trovano i profughi e, su mandato di Caritas Internazionalis, sono in corso alcuni interventi mirati.
Suscita indignazione, assistendo a questi eventi, il sapere che la Repubblica Democratica del Congo sarebbe in grado di vivere agiatamente attraverso una buona gestione delle sue risorse naturali e, invece, si ritrova e ci ritroviamo, ancora una volta, a parlare di conflitti e di persone che soffrono».

Con Papa Francesco assieme agli uomini e alle donne del pianeta

Il Santo Padre, come in altre occasioni simili, ha invitato anche i non cattolici e i non cristiani ad associarsi all'iniziativa di preghiera nelle modalità che essi riterranno più opportune. «Il nostro Padre celeste ascolta sempre i suoi figli che gridano a Lui nel dolore e nell'angoscia, "risana i cuori affranti e fascia le loro ferite" (Sal 147,3). Rivolgo un accorato appello perché anche noi ascoltiamo questo grido e, ciascuno nella propria coscienza, davanti a Dio, ci domandiamo: "Che cosa posso fare io per la pace?". Sicuramente possiamo pregare; ma non solo: ognuno può dire concretamente "no" alla violenza per quanto dipende da lui o da lei. Perché le vittorie ottenute con la violenza sono false vittorie; mentre lavorare per la pace fa bene a tutti!» (Papa Francesco, Angelus, 4.2.2018).


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