Una vita con preti operai

La storia di don Roberto Fiorini

Che significato ha avuto la mia esistenza? Don Roberto lo scopre nel Vangelo sine glossa, senza interpretazioni di comodo o sconti. E così, cercando Cristo, si ritrova non solo nelle periferie del consorzio umano, ma pure ai margini di una Chiesa che, dai vertici, invita con forza a decentrarsi.

Per don Roberto, il bilancio d'una vita non nasce dal bisogno personale di raccontarsi, ma da un'esplicita richiesta di testimonianza da parte dell'editore Paoline, che lui, don Roberto Fiorini, ha accolto con immediatezza e un'abitudine connaturata a non negarsi ad alcuna persona e ad alcuna sfida.
La domanda di senso è ovviamente la prima a sorgere di fronte al vaglio critico: che significato ha avuto la mia esistenza? Don Roberto lo rinviene nel Vangelo sine glossa, senza interpretazioni di comodo o sconti. E così, cercando Cristo, si ritrova non solo nelle periferie del consorzio umano, ma pure ai margini della Chiesa che dai vertici invita con forza a decentrarsi, mentre alla base, spesso, fatica a superare i confini della propria istituzionalizzazione. «Se ci si decentra – scrive – si scopre che l'umanità vive e muore in una Nazaret qualsiasi, nella bottega di un artigiano».
In questo senso don Roberto è, com'è stato definito, un autentico «figlio del Concilio»: ha recepito le istanze fondanti del Vaticano II e ci si è giocato la vita, mentre tutt'oggi – a mezzo secolo di distanza – serpeggiano ancora tentazioni passatiste e seduzioni d'autoreferenzialità.

Una storia e le sue radici

Dietro al filo della memoria che si dipana, emergono con spontaneità l'infanzia all'oratorio e i compagni di gioco, la figura carismatica di don Bruno, gli anni del seminario e i confratelli: «Ecco in breve – commenta – la storia di una comunità ecclesiale sorta in assoluta precarietà di mezzi e di riconoscimenti canonici, dispersa poi nei mille cammini di vita». Ma ci sono anche gli anni della guerra e la morte improvvisa della madre, quando lui aveva solo dodici anni: «Da allora l'immagine del dio dei miracoli si è perduta nella mia mente» dice, quasi sottovoce, guardando quel sé bambino di fronte al terribile mistero del dolore.
A cosa aggrapparsi allora per dare un valore e una continuità alla vita? «Il cantus firmus è sempre stato quello di essere "alle prese con Dio", in una mescolanza di lotta e di amicizia» risponde l'autore.
A ventott'anni arriva una svolta che sembra, come spesso accade, fortuita: Antonio Poma, allora vescovo di Mantova e futuro presidente della CEI, lo spedisce a lavorare alle ACLI. La Chiesa e l'Italia tutta sono prese fra la rivoluzione del Concilio e i primi venti forieri del '68. Il lavorare nel e per il mondo operaio segna inevitabilmente la sua stessa identità di prete; sente l'influsso della spiritualità di Charles De Foucauld e di don Lorenzo Milani, e fa la conoscenza personale del vescovo ausiliare di Lione, Alfred Ancel, autore di Cinque anni tra gli operai, il quale durante il Concilio aveva partecipato al gruppo di ricerca «I poveri e la Chiesa». Nel '71 però si consuma la frattura fra le ACLI e le gerarchie ecclesiastiche per cui don Roberto, come gli altri assistenti del movimento, si ritrova nell'occhio del ciclone.

Un prete lavoratore

Dal '65 Paolo VI aveva dato via libera all'attività dei preti-operai che si erano rapidamente diffusi dalla Francia in Belgio, Spagna, Portogallo, Italia, Germania e Svizzera. In don Roberto si fa allora strada l'idea di diventare operaio ma, dati i suoi precedenti nelle ACLI, sa che difficilmente potrà trovare un lavoro presso le industrie della sua zona. Si iscrive così nel '72, lasciando l'insegnamento e rinunciando a uno status consolidato, a un corso per infermieri; l'anno seguente viene assunto all'ospedale psichiatrico di Mantova come inserviente. Cinque anni dopo, la rivoluzione della Legge Basaglia, che chiuderà i manicomi, vede don Roberto impegnato come amministrativo in progetti di assistenza decentrata.
«La tragedia della quale ero testimone – racconta don Roberto –, con il suo carico di oscurità e non-senso, quasi istintivamente mi riportava al silenzio di Dio». Questo prete d'assalto, ecumenico, con gli altri preti «scomodi» suoi amici (don Sirio, don Beppe, don Cesare, don Sandro, don Renato, don Gianni, don Luisito...) si fa in tal modo icona d'una Chiesa, secondo l'audace definizione di Paolo VI nella Popolorum Progressio, «esperta di umanità».

La storia di don Roberto, la sua passione per un'umanità in carne e ossa, le sue scelte radicali e la sua fedeltà al Vangelo, il suo essere fino in fondo prete scomodo e scomodante la si può leggere nel suo testo, Figlio del Concilio. Una vita con i preti operai, pubblicato da Paoline, nel 2015.

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