Quando si vive accanto a una persona con disabilità intellettiva, qual è il modo migliore per starle accanto? Come aiutarla in modo corretto ed efficace? Come far sì che anche per lei ci possa essere un'educazione affettiva e sessuale? Diamo voce a Vittore Mariani pedagogista e collaboratore dell'Opera don Guanella.
In genere si dice che il disabile mentale deve essere aiutato, ma come?
Cinque sono le modalità di accompagnamento delle persone con disabilità intellettiva o mentale:
1) assistenza;
2) addestramento;
3) riabilitazione;
4) cura;
5) educazione.
Certamente è fondamentale e necessaria l'assistenza, intesa come la risposta puntuale alle necessità primarie della persona:
1) alimentazione e idratazione;
2) salute;
3) igiene;
4) riposo;
5) protezione.
Se il disabile non riesce a procurarsi da mangiare e da bere muore. Se non è in grado di scegliere la quantità e la qualità dei cibi e delle bevande si intossica. Ecco perché è importante seguirlo in questa necessità, perché non è completamente autonomo, anzi disabili gravi e gravissimi dipendono tantissimo per questo basilare bisogno. Concorre alla salute anche l'igiene, come pulizia personale e degli ambienti in cui la persona vive e che deve essere garantita al disabile da un costante supporto e monitoraggio.
Alla persona con disabilità intellettiva bisogna assicurare anche un tetto e un letto, cioè una casa dove vivere con la garanzia del dovuto riposo per il suo benessere psicofisico. Spesso, inoltre, incorre nei pericoli di vario tipo, fisici e relazionali, e ha necessità di protezione, oltre ogni forma di sfruttamento e strumentalizzazione. Siamo nell'ambito dell'assistenza, dell'accompagnamento assistenziale.
Per la persona umana l'assistenza non basta. Sono noti i pericoli dei servizi alla persona odierni, specialmente per i disabili mentali adulti, di ridurre l'approccio alla mera assistenza, in una sorta di cosiddetto neoassistenzialismo, cioè un'assistenza infarcita di interventi sanitari e di imbottitura da psicofarmaci per il contenimento dei «comportamenti problema» e l'adeguamento passivo alla vita sociale, con uno svilimento delle potenzialità personali, del potersi esprimere con la propria originalità e diversità. Perciò i sostenitori dell'umanizzazione dei rapporti e dei contesti di vita di queste persone hanno cominciato a introdurre il termine «cura».
Cura, a differenza di «assistenza», appare come una parola più completa e soddisfacente, che molti tendono a usare per fare comprendere il passo in avanti nell'accompagnamento personale e comunitario, non solo in ambito sanitario, ma anche in quello sociale.
Essa ingloba molte dimensioni dell'accompagnamento, dalle prime due più sanitario-assistenziali alle seguenti connesse al sociale e alla relazione spontanea e di aiuto:
l'insieme delle terapie e delle prescrizioni medicinali che hanno lo scopo di garantire una malattia o di ristabilire una certa condizione fisica o comunque di evitare quanto più possibile un decadimento psicofisico;
l'abilitazione o riabilitazione, come il rendere il rendere di nuovo capaci di svolgere determinate funzioni e attività, con interventi mirati di addestramento, e il favorire apprendimenti, cioè acquisizioni di nuovi comportamenti indotti sulla base dell'esperienza, ai fini di un migliore adattamento ambientale;
l'interessamento premuroso e solerte per qualcuno, svolto con intelligenza e generosità, e concernente quindi anche un approccio inglobante le dimensioni dei sentimenti e delle emozioni;
l'addestramento, il rendere abile, esperto, l'istruzione atta a preparare per un certo ruolo, compito, mestiere.
La «cura» comprende allora anche la relazione spontanea nella migliore accezione, compiuta per libera scelta, non artefatta, e con le tipiche caratteristiche, senza voler essere esaustivi:
1) apertura, con disponibilità;
2) sincerità, senza inganno;
3) autenticità, senza maschera;
4) dialogo, mettendosi in relazione;
5) tolleranza, nel rispetto della diversità.
E anche caratteristiche della relazione amicale, ovviamente nella chiarezza e consapevolezza che non si tratta di un rapporto inter pares, e quindi dei ruoli, specialmente da parte dell'accompagnatore, per quanto possibile coscientizzando anche il disabile accompagnato:
1) cordialità, con gentilezza, delicatezza, premure;
2) simpatia, inclinazione benevola verso l'altro;
3) sintonia, nell'armonia, in accordo;
4) stima, buona opinione dell'altro e delle sue
1) qualità;
5) confidenza, familiarità;
6) perdono, oltre ogni rancore;
7) riconciliazione, oltre il distacco, la separazione.
«Cura», dunque, sembrerebbe termine completo, adatto, rispondente, ma non basta. Occorre improrogabilmente passare dalla cura alla relazione educativa di aiuto.
Per approfondire quest'ulteriore sfida del prof. Mariani proponiamo la lettura integrale di Disabilità intellettiva. Educazione affettiva e sessuale (Paoline 2013).
Il testo affronta il delicato argomento dell'educazione affettiva e sessuale delle persone con disabilità intellettiva con l'intento di fare chiarezza e rispondere a una serie di domande fondamentali a genitori ed educatori.