Generare luoghi di vita

Nuove forme dell'abitare

«In numerose lingue, vivere è sinonimo di abitare. Chiedere “dove vivi?” significa chiedere qual è il luogo dove la tua esistenza quotidiana forma il mondo. Dimmi come abiti e ti dirò chi sei» (Ivan Illich). La frase è stata scelta dagli Autori, Johnny Dotti e Chiara Nogarotto, in apertura del loro libro "Generare luoghi di vita" (Paoline) che propone una riflessione a 360° sul concetto di abitare.

Il libro – scrivono gli Autori - «nasce dall’aver incrociato lo sguardo di desiderio di tante donne e tanti uomini. Il desiderio di un futuro diverso, fatto di un costante quanto impegnativo esserci l’uno per l’altro. Ci siamo ogni volta stupiti della forza e della tenacia di quello sguardo. Lo sguardo è quello di chi ha capito che l’uomo abita il mondo, non sta in un appartamento». Un concetto vitale, questo, che le generazioni passate vivevano senza teorizzarlo e che – soprattutto in questo ultimo secolo – è andato appannandosi.
Da più di un secolo, infatti, parlando di abitazioni si parla sempre più diffusamente di appartamenti, di alloggi; ne abbiamo fatto un enorme mercato speculativo, producendo, così pensavamo, funzionalità, privacy, libertà, indipendenza. In realtà ci siamo illusi che chiudere la porta del nostro appartamento potesse darci sicurezza, autonomia, liberarci dalla paura dell’altro. Certo, quasi mai come scelta dichiarata ma, proprio per questo, potenzialmente molto pericolosa perché contenente in sé il germe dell’individualismo, che ha come conseguenza inevitabile solitudine e paura. L’abitazione concepita come rifugio, come spazio con dispositivi di comfort, basato sul concetto di produzione in serie e fondato su logiche puramente finanziarie, non genera vita.
Gli Autori citano un famoso racconto di Franz Kafka, La tana, in cui un essere oscuro e viscido si costruisce un rifugio, una tana appunto, che alimenta la sua paura proprio nella misura in cui cerca di aumentarne la sicurezza; il risultato è un senso sempre più pervasivo di insicurezza dal quale non potrà difendersi. Certo, la metafora kafkiana è paradossale, ma non è lontana da una verità fotografata da alcune statistiche dell’Istat, riportate nel libro, sugli aspetti di vita degli anziani che denunciano una crescente percentuale di persone che soffrono di stati ansioso-depressivi. Eppure, sempre la fonte Istat, evidenzia la partecipazione attiva degli anziani sia nel sostegno familiare sia nelle attività di volontariato: donne e uomini che hanno un grande desiderio di spendersi per gli altri e con gli altri.
Le domande che emergono dalle prime pagine sono: Con chi vogliamo vivere? Con chi vogliamo ridere? Con chi vogliamo piangere? Con chi vogliamo morire? Si tratta di domande che evidenziano un’urgenza, quella di abitare la vita, prima che abitare una casa.

Gli Autori ripercorrono alcune realtà abitative comunitarie nate in ambito europeo nel corso dei secoli e che offrono elementi di riflessione. Non si tratta di ricopiare il passato, ma di individuare valori universali che resistono a prescindere da contesti storici e sociali diversi. In questo saggio sono presentate alcune di queste esperienze. Sono segnalati i movimenti di donne, le beghine, che, né mogli, né madri, pur vivendo in case singole, scelgono di condividere lavoro e cultura: agricoltura, tessitura, trascrizione di manoscritti, pittura, musica. Un’esperienza caratterizzata dall’indipendenza dal potere e dall’autorità maschile che incontrerà ostacoli, soprattutto in ambito ecclesiastico, ma riuscirà a mantenere per secoli la propria autonomia e il proprio carattere di condivisione e di assistenza ai poveri e ai malati. I monasteri sono anch’essi una esperienza di coabitazione, caratterizzati da una spiritualità intensa e dal lavoro, dallo studio, dalla ricerca in ambiti e saperi diversi e dalla solidarietà. Un’altra interessante realtà abitativa sono i borghi e, più recenti, le cascine, tipiche della pianura Padana lombarda che, tra l’altro trovano nelle masserie pugliesi alcuni aspetti comuni: numerose famiglie condividono una corte su cui si affacciano le singole abitazioni e che rappresenta il riferimento delle attività lavorative, ma non solo. Esperienze abitative che sono preziosi riferimenti della tradizione italiana di condivisione e possono offrire spunti di riflessione e, di fatto, ispirano già modelli di coabitazione, come gli ecovillaggi, legati da principi di solidarietà e di armonia con la natura. Non si tratta né di inventare modi nuovi, né di ricopiare il passato, ma di riscoprire la nostra condizione esistenziale: noi non bastiamo a noi stessi, non ci diamo la vita da soli, prima dell’individuo viene la relazione. Siamo chiamati a camminare insieme, coniugando prossimità e libertà, momenti di incontro e di scambio e momenti di conflitto. Il libro in questo senso offre molte informazioni contenute in appendice in una ricca bibliografia, una guida bibliografica e sitografica.

Mi sembra interessante chiudere con una riflessione che traggo dalla post-fazione, firmata da Maria Claudia Peretti, Presidente di Italia Nostra, che indica un percorso faticoso ma irrinunciabile, che coinvolge istituzioni e individui. «Coabitare è molto difficile: non nasciamo coabitanti, lo diventiamo con l’educazione, l’esperienza, l’apprendimento continuo in un percorso di aperture e chiusure, di incontri con l’altro da noi. […] Occorre ridare alla persona una nuova centralità, togliendo l’individuo dalla dimensione frastornante e passiva del consumatore e restituendogli un ruolo di responsabilità… Difficile? Sì, difficilissimo. Rinviabile? Solo a costi troppo alti per tutti».

Leggi un estratto del libro


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