Antiochia: una comunità guidata dallo Spirito

Spunti biblici per una Chiesa sinodale /4

La comunità di Antiochia, nasce per caso, a seguito della persecuzione di Stefano che provocò la fuga di un gruppo di cristiani da Gerusalemme ad Antiochia, città di cultura ellenistica (cfr. At 8,1-4; 11,19) cosmopolita, pluriculturale, tollerante verso le varie religiosità.

I cristiani che vi si stabilirono predicavano la Parola soltanto ai Giudei, come avevano imparato a Gerusalemme. Alcuni di essi di cultura greca, originari di Cipro e di Cirene, «cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore» (11,20). Il loro timido tentativo è incoraggiato e benedetto dal Signore: «la mano del Signore», cioè la sua guida, era con loro (cfr. At 11,21) e «un grande numero credette e si convertì al Signore», come avvenne nella prima predicazione in Gerusalemme (cfr. At 4,4; 6,7). Questa novità suscitò stupore e, in alcuni, dissenso. La notizia dell’annuncio evangelico ai pagani giunse come una specie di chiacchiera «agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme» dove risiedevano Pietro e con lui gli altri apostoli. La Chiesa di Gerusalemme, anziché decidere per sentito dire, riflette insieme e, lasciandosi guidare dallo Spirito, invia ad Antiochia Barnaba, uomo saggio e di buon cuore, con uno spirito aperto, conciliante e incoraggiante, per valutare di che cosa si trattasse. Giunto ad Antiochia, Barnaba comprende di trovarsi dinanzi a un’opera di Dio, esulta di gioia e invita i credenti a perseverare con «con cuore risoluto» (v. 24). Da uomo di Dio, discerne anche che in questa Chiesa multiculturale Saulo di Tarso, del quale sembrava si fossero perdute le tracce, poteva trovare accoglienza e spazio per l’evangelizzazione (cfr. At 11,25). Lo cerca finché lo trova e insieme, per un anno, istruiscono molta gente. Ad Antiochia i discepoli sono definiti “cristiani”, cioè, seguaci di Cristo, il Messia morto e risorto (At 11,26) che testimoniano con la loro vita.

LEGGI Atti 11,19-26

La comunità di Antiochia può essere definita Chiesa al plurale e vive questa pluralità come armonia: vi sono i profeti, ministri della Parola che interpretano la Scrittura, e i maestri, veri custodi della tradizione. Una lista di nomi (cfr. At 13,1) sembra presentare diversi membri della comunità che, nella diversità di servizi, richiamano la visione di una Chiesa unita e ministeriale, che come un corpo unito e organico è costituito da molte membra diverse ma tutte necessarie e funzionanti. Il primo nome della lista è quello di Barnaba proveniente da Gerusalemme, l’ultimo quello di Saulo, convertito alla fede cristiana. La comunità vive la Parola che ascolta e annuncia, si riunisce insieme per la preghiera e pratica il digiuno, con il quale esprime il suo amore alla Parola quale cibo «che esce dalla bocca del Signore». Mentre è radunata per celebrare il culto, lo Spirito decide chi tra i suoi membri mandare in missione, lontano dai luoghi conosciuti: «riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati». La missione è opera dello Spirito che l’affida alla Chiesa riunita nel suo nome e in comunione. I membri della comunità «dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono» (At 12,3).
Il digiuno, la preghiera e l’imposizione delle mani testimoniano che la Chiesa nella sua interezza, obbediente allo Spirito, sente di essere la responsabile della missione che gli inviati dallo Spirito stanno per iniziare in suo nome. Quindi li congeda affidandoli a Dio (cfr.14,26; 15,40). Né la comunità né gli inviati conoscono, in anticipo, i particolari della missione che stanno per intraprendere. Li scopriranno cammin facendo, nell’ascolto dello Spirito e delle situazioni che incontreranno, vivendo nella comunione e nel discernimento. E così, Barnaba e Saulo, senza averlo previsto, notano che la loro missione, pur compiuta in mezzo a difficoltà e incomprensioni (cfr. At 14,19-22), apre le porte della fede ai pagani. Quindi, per radicare la fede nei nuovi credenti, fondano nuove comunità, sullo stile sinodale di Antiochia: «designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto» (14,23). Terminata questa tappa missionaria, ritornano nella comunità di Antiochia e condividono il cammino missionario che lo Spirito ha fatto loro compiere: «fecero vela per Antiochia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l'opera che avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede» (At 14).
La comunione ecclesiale, l’esercizio coordinato dei ministeri, l’ascolto dello Spirito, il discernimento comunitario, la preghiera, consegnano il ritratto di una comunità in uscita, aperta a tutti i popoli, modello di cammino sinodale. Emerge dal Libro degli Atti la natura della Chiesa, che non è una roccaforte, ma una tenda capace di allargare il suo spazio (cfr. Is 54,2) e di dare accesso a tutti (cfr. Francesco, 23 ottobre 2019). 

LEGGI Atti 13,1-5; 14,26-28

 

Per riflettere e approfondire

  1. Oggi quali situazioni pastorali ci domandano di discernere le vie nuove verso cui lo Spirito ci vuole portare? Quali impedimenti dobbiamo superare?
  2. Quali aspetti sinodali della Chiesa di Antiochia sono urgenti per noi oggi?
  3. Quale aspetto di sinodalità Paolo e Barnaba trasmettono condividendo il cammino compiuto?


»»» Scopri le altre tappe del percorso Spunti biblici per una Chiesa sinodale


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