Ascoltare “con il cuore” per nuovi cammini

Spunti biblici per una Chiesa sinodale /2

La Bibbia narra di un evento importante che segnò la storia del popolo di Dio: la riforma religiosa promossa dal re Giosia. Lo scopo era quello di ridare centralità alla Legge di Dio, ritenuta fondamento del vivere. Tale riforma, benché non abbia prodotto nell’immediato i frutti sperati, fu però provvidenziale per il tempo dell’esilio e le sue luci e ombre aiutano anche noi oggi a valutare come vivere al meglio l’atteggiamento sinodale.

La riforma promossa dal re Giosia (cfr. 2Re 22-23) restituì alla Legge di Dio - codificata nel testo scritto, ma dimenticata - il suo posto centrale nella vita del popolo. Prima della sua ascesa al trono si erano succeduti diversi re che avevano permesso il culto alle divinità straniere, allontanando il popolo dall’Alleanza con Dio. Il testo biblico stigmatizza così tale comportamento: «Fece ciò che è male agli occhi del Signore, secondo gli abomini delle nazioni che il Signore aveva scacciato davanti agli Israeliti» provocandone l’ira (cfr. 2Re 21,2; cfr. 2Re 21,20). Con il re Giosia avviene una svolta decisiva perché, invece, «fece ciò che è retto agli occhi del Signore, seguendo in tutto la via di Davide, suo padre, senza deviare né a destra né a sinistra» (2Re 22,2). Provvidenziali furono i lavori nel Tempio durante i quali venne trovato, quasi per caso, il rotolo della Legge mosaica. Un ritrovamento ritenuto un chiaro richiamo di Dio. Non sappiamo se questa scoperta sia storica o leggendaria. Comunque sia, nell’antichità ciò che era antico si riteneva autorevole e i cambiamenti importanti, religiosi e politici, si fondavano su di esso. Il ritrovamento del rotolo suscitò sconcerto e meraviglia: «Il sommo sacerdote Chelkia disse allo scriba Safan: "Ho trovato nel tempio del Signore il libro della legge"». Fu portato e letto davanti al re il quale, colpito dalle parole in esso contenute, «si stracciò le vesti» e diede vita alla riforma (2Re 23,2.3.21.24).

Il contenuto di questo libro, simile alle prescrizioni del Deuteronomio, ha permesso agli studiosi di intravedervi il suo nucleo centrale (cfr. Dt 12-26). Giosia comandò: «Consultate il Signore per me, per il popolo e per tutto Giuda». Venne consultata la profetessa Culda che, con molta schiettezza, trascurando che la richiesta provenisse dal re, risponde di riferire all’«uomo che li aveva inviati da lei» (cfr. 2Re 22,15) il castigo che si sarebbe abbattuto sul popolo per la sua infedeltà. La profetessa evidenzia che dinanzi alla parola di Dio non esistono ruoli di privilegio. Dinanzi a Dio anche il re è un uomo come gli altri. Lo distingue la responsabilità di cui è rivestito che gli impone di esercitare il suo “ruolo” come servizio alla comunità della quale solo Dio è re.
Giosia legge il libro a tutto il popolo. La lettura pubblica della Legge, proclamata «agli orecchi di tutti» (Dt 31,11), anche a coloro che ancora non la conoscono, suscita il desiderio di comprenderla e di viverla. Dopo la lettura, il re comunica la sua decisione di rinnovare l’alleanza con il Signore e di celebrare la Pasqua, e «tutto il popolo aderì all'alleanza».
La storia mostra che questa riforma, condotta con tanto impegno, non ebbe effetto duraturo. Dopo la morte prematura del re Giosia, ucciso in battaglia, il popolo dimentica l’alleanza cui aveva aderito.

Se ci ricordiamo l’assemblea a Sichem promossa da Giosuè (Gs 24) - di cui abbiamo parlato nella prima tappa di questo cammino - dove il popolo risponde nel “qui” e “ora”, si nota che, invece, nella riforma di Giosia, il popolo è presente ma passivo; non esprime alcuna reazione, il suo cuore non mostra segni di pentimento né sussulta di gioia, come avverrà al ritorno dall’esilio (cfr. Ne 8,1-18). Il respiro comunitario, però, c’è: vi contribuiscono, infatti, il sacerdote, lo scriba, il profeta, il re. Il libro è letto al re e dal re al popolo radunato e può leggerlo chiunque sappia leggere. Tutto questo però non fu sufficiente. Il cambiamento di rotta, di fatto, richiede l’ascolto profondo e l’assenso convinto di ogni persona. Questa riforma è vissuta, invece, soprattutto, come missione del re, come evidenziano i verbi in prima persona: il re mandò, salì, lesse, concluse.

LEGGI 2Re 23,1-3

Fa pensare il silenzio del profeta Geremia che visse in quel tempo. Egli che a Giosia, dopo la sua morte, tesse quest’elogio: «praticava il diritto e la giustizia e tutto andava bene, tutelava la causa del povero e del misero e tutto andava bene» (Ger 22,15-16; cfr. 2Cr 35,25) come mai non si esprime sulla riforma che il re promosse? Eppure i suoi oracoli sono in sintonia con le finalità della riforma. Forse giudica insufficiente la contrizione del popolo e superficiale la sua conversione? (cfr. 3, 6-8.13; 11,8). Chissà se il suo oracolo sulla necessità del cuore nuovo che annuncia la legge di Dio scritta in esso non provenga, anche, da questa esperienza? (Ger 31,31-33).
La riforma di Giosia fu provvidenziale, però, perché segnò il passaggio dal culto formale e idolatrico nel Tempio alla centralità del Libro che divenne "luogo" della fede. Nel tempo dell’esilio, quando il popolo perde la terra, il re e il Tempio, i pilastri della sua esistenza, il libro della Legge costituirà una specie di «Tempio portatile» dove gli esiliati rivitalizzeranno la Memoria della loro fede, non perdendo la speranza nella salvezza. 

La parola di Dio che ci giunge tramite la riforma di Giosia, quindi, ci mette in guardia: vi può essere un nuovo cammino se tutto il popolo, dal più grande al più piccolo, è coinvolto nell’ascolto attivo della Parola, permettendole di giungere dalle orecchie al cuore.

Per riflettere e approfondire

  1. Il ritrovamento del rotolo della Legge fu l’occasione per la riforma che pose la parola di Dio al centro della vita. Quali situazioni oggi (es. guerre; calamità; disagi sociali) ci domandano di individuare, alla luce della parola di Dio, nuovi cammini?
  2. Quali modalità scegliere perché ogni membro della comunità sentendosi coinvolto nel cammino di fedeltà al Signore vi contribuisca efficacemente?
  3. «Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace» (Francesco alla Diocesi di Roma, 18 settembre 2021). Sappiamo vedere e ascoltare le domande di vita e le critiche dei cosiddetti “non praticanti”?


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