Il Concilio di Gerusalemme

Spunti biblici per una Chiesa sinodale /5

Luca, nel capitolo 15 degli Atti degli apostoli, presenta un vero e proprio modello di sinodalità. L’apertura della fede ai pagani fa sorgere conflitti e problemi ecclesiali. Dinanzi ad essi l’assemblea di Gerusalemme ci offre una luce importante sulle modalità con cui affrontare le divergenze e ricercare la «verità nella carità» (Ef 4,15).

Il testo in esame, Atti 15, è lineare: vi è la presentazione del conflitto (vv. 1-5), segue il discernimento dell’Assemblea (vv. 6-29) che individua la soluzione da prendere (vv. 30-35).
Grazie alla predicazione ai pagani anche fuori dalla Palestina, compiuta da Paolo e Barnaba, la comunità cristiana si ritrova formata da persone di diversa cultura. La pluralità comunitaria è un dato di fatto: i cristiani di origine giudaica e quelli di origine greca, pur avendo criteri culturali diversi, vivono insieme la stessa fede in Gesù morto e risorto. Questa pluralità, in sé stessa ricchezza, essendo una novità inedita ancora da approfondire suscitò opinioni diverse sul modo di vivere la fede, fino a generare una pericolosa situazione conflittuale.
I cristiani, provenienti dal giudaismo, convinti del valore perenne della circoncisione, come segno di appartenenza al popolo di Dio, la imponevano ai convertiti dal paganesimo (At 15,1-2). Paolo e Barnaba, convinti, invece, che il Battesimo cristiano, donasse la salvezza gratuitamente, affermavano che la circoncisione non era necessaria ai pagani che avevano accolto la fede cristiana. Quindi «dissentivano e discutevano animatamente» contro costoro.

La comunità di Antiochia, per non rompere la comunione che riteneva indispensabile alla sua identità, decide di rivolgersi «agli Apostoli e agli Anziani» (15,2) della Chiesa madre di Gerusalemme. Invia, quindi, Paolo e Barnaba e alcuni altri, per presentare la questione a tutta la Chiesa di Gerusalemme. E tutti prendono parte allo svolgimento dell’assemblea dall’inizio fino alla decisione finale (15,12. 22). Paolo e Barnaba riferiscono le «grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro», aprendo le porte della fede ai pagani senza nulla chiedere loro in cambio (15,4). Sorge una vivace discussione. Alcuni della setta dei farisei ribadiscono con tenacia l’importanza della circoncisione anche per i pagani. Il clima si fa molto teso. Pietro, alla presenza degli altri apostoli e degli anziani, si alza, proprio come quando alla comunità radunata, leggendo gli eventi alla luce della Parola, aveva proposto la sostituzione di Giuda (cfr.1,15), e interviene con umiltà e come testimone autorevole dell’azione di Dio attraverso il suo Spirito.

Facendo memoria della conversione del centurione Cornelio nella cui casa lo Spirito lo aveva mandato, testimonia che lo Spirito santo, con suo stupore, scende anche sui pagani senza discriminarli (cfr. At 10, 44- 48) e professa la fede in Gesù che salva tutti gratuitamente (15,7b-12). Se lo Spirito ha deciso di scendere anche sui pagani senza richiedere la circoncisione, come garanzia di salvezza, perché, dunque, farli circoncidere? L’assemblea si placa e in silenzio ascolta ancora «Barnaba e Paolo che riferivano quali grandi segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni per mezzo loro» (At 15, 12). Interviene, infine, Giacomo, guida della Chiesa di Gerusalemme, il quale dopo avere interpretato gli avvenimenti alla luce della parola profetica che attesta la volontà salvifica universale di Dio (cfr. Am 9,11-12), propone di accogliere l’appello di Pietro a non imporre ai gentili la legge mosaica, come volevano Barnaba e Paolo. Giacomo richiede, tuttavia, l’osservanza di quattro condizioni minimali di carattere cultuale - rituali non necessari alla salvezza ma utili per mediare le richieste della comunità giudeo-cristiana - e mantenere l’unità ecclesiale.

Come afferma Massimo Grilli (Una sfida per la Chiesa. La sinodalità nell’opera lucana, Paoline 2022, pp.88-96), nel discorso di Pietro e nella proposta di Giacomo, le due diverse “anime” si conciliano. L’assemblea al completo aderisce: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi» (15,28). «Questo testo ci aiuta a comprendere la sinodalità. È interessante come scrivono la Lettera: incominciano, gli Apostoli, dicendo: “Lo Spirito Santo e noi pensiamo che …”. È proprio della sinodalità, la presenza dello Spirito Santo, altrimenti non è sinodalità, è parlatorio, parlamento, altra cosa …» (Francesco, 23 ottobre 2019). Quindi la comunità invia Barnaba e Paolo ad Antiochia insieme a Giuda e Sila appartenenti alla Chiesa di Gerusalemme «uomini di grande autorità tra i fratelli» con uno scritto che informa la comunità della decisione presa a Gerusalemme.

LEGGI Atti 15,1-3

La comunità antiochena accoglie la lettera con gioia, sentendosi anche incoraggiata. La disputa iniziale, grazie all’ascolto reciproco e senza pregiudizi, al discernimento alla luce della parola di Dio e all’obbedienza allo Spirito, scompare e al suo posto cresce la fraternità e un clima di pace (cfr. 15,31-33). Giuda e Sila ritornano a Gerusalemme da coloro che li avevano inviati. Paolo e Barnaba riprendono l’evangelizzazione, confortati e sorretti dalla comunione ecclesiale. Lo svolgimento dell’assemblea di Gerusalemme, dove tutti, sia pure nella diversità di ruolo e contributo, sono coinvolti nel discernimento, mostra il cammino del Popolo di Dio come una realtà viva, compaginata e articolata dove ognuno, scriverà san Paolo, ha un posto e un ruolo specifico, indispensabile (cfr. 1Cor 12,12-17; Rm 12,4-5; Ef 4,4).

Per riflettere e approfondire

  1. Quali prospettive diverse bloccano la coesione della nostra comunità ecclesiale e il suo slancio missionario?
  2. Quale metodo aiuta a vivere la comune obbedienza alle indicazioni dello Spirito, che rafforza la comunità e apre le porte della fede anche ai lontani o indifferenti?
  3. La parola di Dio quale posto occupa nel discernimento delle situazioni che ogni crescita necessariamente provoca?


»»» Scopri le altre tappe del percorso Spunti biblici per una Chiesa sinodale


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