Tradizionalmente collocata tra le "lettere della prigionia", si pensa sia stata scritta da un collaboratore o discepolo di Paolo. La lettera si concentra sul primato di Cristo. In lui si trova la pienezza della redenzione e della riconciliazione (1,19.20).
La lettera ai Colossesi, con la lettera agli Efesini, fa parte del secondo gruppo di lettere attribuite all'apostolo Paolo. Sono dette lettere deuteropaoline, perché sono successive alle sette lettere attribuite a Paolo. Si distinguono da esse per lo stile solenne e a volte ridondante; per i termini nuovi, come ad esempio: inchiodare, rappacificare, cose di lassù...
A motivo di queste caratteristiche si ritiene che gli autori siano fedeli discepoli di Paolo.
Sono dette anche lettere della prigionia perché l'apostolo si presenta prigioniero. Le corrispondenze di espressioni e di frasi, tra queste due lettere, sono numerose. Questa costatazione ha indotto molti studiosi a credere che Efesini dipenda da Colossesi, quasi ne sia un ricalco. Non è semplice precisare che cosa sia avvenuto nella trasmissione di questo testo sacro. Sappiamo, per certo, che queste lettere testimoniano l'importanza del pensiero di Paolo per la vita della Chiesa delle origini. Dopo la morte dell'apostolo, infatti, i suoi collaboratori fedeli hanno saputo interpretare Paolo nella nuova situazione socio ecclesiale.
La comunità di Colossi, città situata a nord di Efeso (Asia minore e oggi Turchia), era stata fondata da Epafra, discepolo di Paolo. Questa comunità era costretta a confrontare la propria fede cristiana su due fronti: con le comunità giudaiche, che propugnavano la pratica della legge, e con le filosofie pagane di quella cultura. Esse erano mescolate a religiosità strane le quali proponevano una visione religiosa sincretista di tipo orientale che ammetteva, tra Dio e l'umanità, degli spiriti celesti che bisognava venerare. Gesù sarebbe stato uno di questi spiriti.
Paolo o i suoi fedeli discepoli, nella prima parte della lettera (1,1-2,23), affermano che solo Cristo Gesù, morto e risorto è Figlio di Dio. Egli è al di sopra di tutti anzi è l'unico! Solo a lui i credenti prestano culto, perché solo in lui risiede la pienezza della divinità. Li esorta perciò a rimanere saldi nella fede e a non lasciarsi allontanare dalla Vangelo ascoltato (1,23). In queste lettere è sviluppata la teologia della Chiesa come Corpo di Cristo nella storia. La parola 'Corpo' indica presenza concreta, storica e relazionale.
Cristo risorto è il capo del corpo che è la Chiesa.
Capo significa autorità, origine, la sorgente dalla quale proviene al corpo la sua vitalità. In questa visione la Chiesa è Gesù con i credenti, che battezzati nel suo nome, lo interpretano nella storia.
Nella seconda parte (3,1-4,18) l'autore mostra come il cristiano che appartiene a Cristo, ed è membro della comunità/chiesa, vive la fede nella storia concreta. Le norme pratiche che egli osserva scaturiscono dalla profonda assimilazione del suo 'essere in Gesù Cristo'. Per questo avendo lasciata, grazie al battesimo, la vita pagana, che Paolo definisce 'uomo vecchio', il cristiano vive la novità cristiana (uomo nuovo) che gli fa cercare le cose di lassù (Col 3,1), cioè i valori di Gesù: bontà, pace, perdono e soprattutto carità che esprime nella vita familiare, nella comunità cristiana, negli ambienti che frequenta.
Per approfondire
Seguendo i criteri della Collana (Nuova versione della Bibbia dai testi antichi), il volume offre un'ampia introduzione, il testo antico, la nuova versione italiana, le note filologiche e il commento teologico al libro.
Le Lettere di Paolo si collocano a mezza strada tra le lettere familiari e quelle di carattere ufficiale. Egli scrive ai cristiani delle sue comunità con l'autorevolezza dell'apostolo fondatore, ma anche con il calore e l'affetto di un padre e amico...