L’otre

Simboli biblici

L’otre, nella Bibbia, è il contenitore ricavato da pelli di capra o pecora, cucite e conciate adeguatamente, per trasportare i liquidi necessari alla vita quotidiana: l’acqua (Gen 21), il vino (1Sam 16,20), il latte (Gdc 4,19) e l’olio. Per i beduini che camminavano a lungo nel deserto l’otre era il “pozzo portatile” perché conteneva l’acqua necessaria alla sopravvivenza.

Le ricorrenze della parola otre nell’Antico Testamento (12 volte al singolare e 6 al plurale) hanno sia il significato letterale quotidiano sia una valenza simbolica. La prima ricorrenza dell’otre nell’AT riguarda Abramo, quando lascia Agar e il figlio Ismaele nel deserto con del pane e un otre d’acqua che il Signore, quando questa finisce, fa sgorgare prodigiosamente, così che l’otre sia sempre pieno per potersi dissetare (Gen 21,14-19). L’otre, oltre che oggetto di uso quotidiano, è simbolo della grandezza di Dio e della fragilità umana. Riferito a Dio ne esalta il potere salvifico di controllare l’oceano ribelle, simbolo della morte. Dio raccoglie le acque immense degli abissi come in un otre stretto nelle sue mani: «Come in un otre raccoglie le acque del mare, chiude in riserve gli abissi» (cfr. Sal 33,7).
La vita umana è paragonata a un otre esposto al fumo: «Io sono come un otre esposto al fumo, non dimentico i tuoi decreti. (Sal 119,83). Questa immagine evoca l’uso antico di porre gli otri che contenevano il vino nuovo in alto rispetto alle cucine del tempo. L’esposizione al fumo ne permetteva la maturazione. L’otre affumicato diviene simbolo del credente che, pur vivendo la volontà di Dio, soffre e la sofferenza lo fa sentire annerito e consumato dalle situazioni difficili.
L’espressione «essere un otre esposto al fumo» ricorda anche che la vita umana è fragile e si svolge nel segno della caducità. Dio, però, si prende cura delle sue creature e raccoglie le loro lacrime, una per una, nel suo otre prodigioso e li stringe nelle sue mani come fossero perle e acqua preziosa nel deserto: «I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?» (Sal 56,9). Nulla della vita del credente sfugge alla premura di Dio che, con tenerezza, custodisce i suoi fedeli, seguendo il loro cammino e scrivendo nel suo libro ogni loro passo. Nel Nuovo Testamento il riferimento all’otre (citato 12 volte al plurale) è nel contesto della disputa di Gesù con gli interlocutori dalla mentalità rigida e ostili al suo insegnamento. 

Da sapere

Gesù, secondo i vangeli sinottici, afferma: «Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano» (Mt 9,16-17; cfr. Mc 2,18-22; Lc 5,36-39). Gesù, che è venuto a completare ma non a demolire (cfr. Mt 5,17), a coloro che si ostinavano a ritenere essenziali alla salvezza antiche tradizioni, chiarisce che la novità evangelica ha bisogno di un contesto adatto per crescere e fruttificare. Il vino nuovo (Mc 2,22) «da poco fermentato» richiede di essere contenuto in otri nuovi perché quelli vecchi potrebbero scoppiare, provocando uno strappo. Questo vino è, infatti, simbolo di una realtà assolutamente nuova e diversa da quella già esistente e le realtà nuove richiedono nuovi “otri” cioè modi di pensare.

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