Chi sono io?

Io - Tu - Noi

Ogni rapporto interpersonale si basa sul rispetto. La parola rispetto deriva dal latino respicere = guardare. Essa indica la necessità di uscire da sé per guardare l’altro, così com’è, e non come lo pensiamo o lo vorremmo.

Anche i genitori e gli educatori possono rischiare di non «vedere» il ragazzo nella sua realtà, ma come lo vorrebbero, attribuendogli caratteristiche o pensieri che non può avere, proprio a causa dell’età che sta vivendo.

Da qui la domanda:
possiamo parlare di identità a un preadolescente? Può rispondere alla domanda: «Chi sono io?», un ragazzino che sta vivendo una fase di crescita, caratterizzata da fluidità, cambiamento, incertezza?

Né poppante né eroe

Il destino del preadolescente sembra quello di oscillare tra questi due opposti. «Sei ancora troppo piccolo!», si sente dire, quando vuole andare in motorino o uscire con gli amici, ma «non sei più un bambino!», quando litiga con il fratello minore per un gioco. I mutevoli cambiamenti di umore mettono spesso in angoscia le mamme che non riconoscono più il loro «bambino», prima tenero e coccolone. Il fatto è che anche gli adulti tendono a rimuovere il ricordo delle montagne russe della loro preadolescenza e spesso mitizzano un periodo della vita naturalmente burrascoso. Si tratta di accettare di andare su e giù con loro, senza rinunciare, però, a reggere la barra del timone. L’adulto può incoraggiarli e sostenerli, senza lasciarsi spaventare dalle sue contraddizioni.

Per il preadolescente è un impegno difficile e nuovo quello di «andare a tempo» con se stesso e con l’ambiente che lo circonda: a volte si sente un estraneo, un alieno (da qui le improvvise timidezze); a volte vorrebbe sperimentare una fusione indifferenziata con il gruppo dei pari, magari attraverso la musica. Proprio i generi musicali che i ragazzi di quest’età prediligono (rap, trap), sono indicatori dei nuovi ritmi, che scandiscono il loro mondo interno, in cui ribellioni, curiosità e paure s’intrecciano.
Per la famiglia, la scuola, la comunità cristiana non è facile sintonizzarsi con questi nuovi ritmi, ma proprio ora diventa ancora più necessario offrire contenimento e, al tempo stesso, essere aperti e rispettosi nei riguardi della «parola nuova» che ciascun ragazzo rappresenta, perché essa possa trovare spazio di espressione.

Un rischio da evitare è quello di proporre ai ragazzi di quest’età inarrivabili figure ideali che, nella narrazione agiografica, hanno perduto la loro complessità e problematicità. Fortunatamente «i santi fanciulli e fanciulle», che hanno tormentato l’adolescenza di molti di noi, non sono più presenti nelle nostre catechesi, tuttavia resta il pericolo di additare al preadolescente ideali impossibili, che rischiano di farlo sentire ancora più incerto e inadeguato.
Il preadolescente/adolescente constata, nel volgere di pochi anni, una trasformazione profonda e irreversibile di se stesso, del proprio corpo e del proprio modo di percepire il mondo che lo circonda. La sua immagine nello specchio è in continuo mutamento. Non può più mantenere l’illusione infantile di un mondo stabile e ripetitivo. Il bambino immagina il futuro in termini mitici. «Quando sarò grande» significa per lui immaginarsi al posto del padre e della madre, ma così com’è adesso, solo più grande e potente, un bambino «grande». Non può avere un’idea dell’essere grande, diversa da quella che il suo essere bambino gli consente. L’immagine del futuro è sempre una proiezione del presente.

Ritmo e tempo nell'esperienza di fede

Anche l’esperienza di fede e quella ecclesiale è esperienza di ritmo e di sintonizzazione; si tratta di ricercare gli strumenti che permettono al preadolescente di sintonizzarsi con la comunità. Come nell’esperienza umana ciò non accade attraverso un lavoro principalmente intellettuale (capisco-aderisco), ma attraverso l’esperienza quotidiana di sentirsi compreso e contenuto. Prima ancora della comprensione dei contenuti, il preadolescente deve sentirsi parte di un ambiente che lo accoglie, che riconosce le sue emozioni e vi risponde. L’introduzione del principio di correlazione nella catechesi, correlazione, cioè dialogo tra le esperienze del soggetto e la Parola che gli viene annunciata, non è che il tentativo di mettere a ritmo la vita e la fede.
La sintonizzazione «catechista-gruppo di catechesi» non è un obiettivo secondario nel percorso catechistico, ma la base che permette alle parole ascoltate di avere significato per me, per noi. Allora il catechista, più che un insegnante, è un direttore d’orchestra. Deve avere un orecchio musicale per accordare, introdurre nella sonorità profonda della Parola.

Franca Feliziani Kannheiser, in Dossier Ragazzi & Dintorni | Catechisti parrocchiali, n. 2, Nov. 2022, Paoline, Roma, pp. 4-5.


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