Dall'io al noi: un processo continuo

Io - Tu - Noi

In ogni momento della vita, fin dal concepimento, non esiste un io che non sia in rapporto con un tu. La modalità della relazione cambia, però, nelle diverse fasi dello sviluppo. Nella preadolescenza e nell’adolescenza il bisogno di entrare in relazione supera i confini della famiglia per estendersi al gruppo dei pari. La capacità di interagire con essi rappresenta un vero e proprio compito di sviluppo e il suo successo influisce sulla esperienza del sentirsi persona.

Ogni educatore che si assume il compito di accompagnare il ragazzo in questo processo continuo dall’io al noi – e, dunque, anche il catechista – necessita di alcune conoscenze psicologiche che orientino il suo operato, ad esempio, in merito a cosa si intende per comportamento prosociale, quali siano le sue caratteristiche e che cosa lo favorisce.

Comportamento prosociale

Quante volte ci rivolgiamo ai nostri ragazzi con raccomandazioni del tipo: «Dovete essere tutti amici»; «bisogna aiutare tutti e non solo chi ci è simpatico»; «occorre perdonare e non vendicarsi di chi ci fa qualche dispetto!». E appoggiamo queste raccomandazioni sull’esempio di Gesù o dei santi. Ci accorgiamo, però, che le nostre esortazioni, spesso, non sono ascoltate. Solo per la cattiva volontà dei ragazzi? Certamente no. Il cammino è lungo e complesso, e non basta conoscere i principi etici cristiani, per tradurre la loro conoscenza in atteggiamenti e comportamenti.
Lo sviluppo della coscienza etica cristiana richiede, come presupposto, quello della coscienza prosociale. Osserviamo più da vicino il processo che rende un individuo capace di comportamento prosociale, cioè di uno stile di relazione che salvaguarda e favorisce lo sviluppo armonico della persona, rendendola capace di accogliere e produrre comunicazione positiva con gli altri.
Esso è la risultante di un processo in cui convergono molti fattori, fra cui l’empatia, l’assertività, la capacità di individuare e risolvere problemi, l’autocontrollo; e richiede il superamento di atteggiamenti antagonisti, come l’aggressività, la passività e la competitività. Per agire in modo prosociale un ragazzo deve possedere, prima di tutto, un sufficiente grado di autostima. Chi si sente inferiore agli altri, chi non sa riconoscere le proprie qualità e potenzialità, non potrà riconoscere l’altro come valore e cercherà o di assoggettarlo o di assoggettarsi a lui.
Le ricerche dimostrano che anche bambini molto piccoli sono capaci di comportamento prosociale. Tale vissuto è, tuttavia, ancora in germe ed è molto diverso dall’altruismo, che può manifestare un adulto maturo. Allo stato iniziale esso è occasionale e spontaneo; è selettivo: dipende dalla simpatia e dall’affetto che ispira una persona; è legato alla situazione: a volte sì e a volte no; si confonde con motivazioni egoistiche; è fortemente condizionato dall’aspettativa di ricompense materiali o psicologiche: lode, riconoscimento, ecc.
Esiste, tuttavia, nell’individuo di ogni età una disponibilità al comportamento prosociale, che può essere sviluppata ed educata, passando da un comportamento quasi «istintivo» a una condotta consapevole, che si mette in atto anche quando necessita sacrificare o rimandare la propria soddisfazione per il bene dell’altro. Altresì l’empatia si trasforma da reazione istintiva (un bambino piccolo può piangere se vede un altro piangere e rispondere alla felicità dell’altro ridendo gioiosamente) alla comprensione delle motivazioni che spingono le azioni di un altro. Man mano che le capacità cognitive aumentano, si imparerà a riflettere sul significato delle proprie azioni e sulle motivazioni delle proprie scelte, ci si confronterà con le idee e il comportamento di altre persone, si sceglieranno modelli a cui ispirarsi, si verificherà il proprio comportamento alla luce di valori e ideali.

Una scoperta di grande importanza per psicologi ed educatori è quella effettuata, verso la metà degli anni ’90, dal prof. Giacomo Rizzolatti e dalla sua équipe presso il dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma. Questi ricercatori hanno individuato un tipo di neuroni che si attivano sia quando il soggetto compie un’azione sia quando la vede compiere da un altro: l’azione osservata è, in qualche modo, riconosciuta come propria. Tali neuroni, chiamati «mirror neurons», neuroni specchio, permettono di comprendere le azioni osservate e di imitarle. Esiste, dunque, un legame empatico tra noi e gli altri, un sistema di scambi anche a livello neurologico che potrebbe essere alla base del comportamento altruistico e costituire il presupposto biologico del comportamento etico.
Fondamentale è la capacità dell’individuo di attribuire stati mentali a sé e agli altri. All’età di tre/quattro anni il bambino comincia a intuire che l’altro ha una mente propria con pensieri e desideri personali, che possono essere diversi dai suoi. Riconoscere l’altro come portatore di un suo pensiero, di desideri ed emozioni è condizione indispensabile per entrare in rapporto con lui, distinguendosi da lui. Entrare in un rapporto empatico senza confondersi è il presupposto dell’interazione sociale. Anche il comportamento etico, quindi, ha basi neurofisiologiche e psicologiche, e dipende dalla maturazione della persona, che avviene secondo tappe e ritmi ben precisi, ma che può essere promossa e stimolata dall’azione educativa.

IL GRUPPO COME PAESAGGIO

Diventare e sentirsi gruppo è facilitato da esercizi e giochi, che coinvolgono pensieri, emozioni e fantasie, come in questo esempio.
I ragazzi si dividono in gruppetti di quattro: ogni gruppo ha il compito di disegnare l’intero gruppo «come se fosse un paesaggio»: un paesaggio marino, una città, anche uno zoo, ecc.
Al termine dei lavori i dipinti si appendono alle pareti e tutti i ragazzi si trasformano in visitatori della mostra. Dopo alcuni minuti si scambiano le impressioni raccolte:

  • Quale disegno risponde maggiormente all’idea che ho di questo gruppo?
  • Quali caratteristiche ne sono evidenziate?
  • Come sono stati rappresentati i ragazzi? Ci sono anch’io? Sono soddisfatto di come sono stato disegnato?
  • Come è stato rappresentato il catechista? E gli animatori? Sono d’accordo? Aggiungerei qualcosa?

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