Entrare... in punta di piedi

Io - Tu - Noi

Chiunque abbia a che fare con i preadolescenti – la regola vale, però, anche per i bambini e gli adolescenti – deve assumere un atteggiamento di fondo, che è quello della curiosità rispettosa. Si tratta, dunque, non di mettersi nella posizione di chi sa e dà risposte, ma di chi cerca di capire, facendosi guidare da coloro che abitano il mondo del preadolescente, cioè dai ragazzi stessi.

Questo è tanto più vero, quando ci accostiamo al fenomeno internet e, quindi, dei social e dei videogiochi. Come si precisa spesso, gli educatori non sono, nella maggior parte dei casi, nativi digitali; essi non sono nati nel mondo della realtà multimediale e devono imparare, perciò, a comprendere il suo linguaggio per valutarne, poi, la portata educativa. In tale esplorazione possono essere guide utili gli animatori, esperti in questo campo, a cui affidare non soltanto compiti esecutivi, ma anche di ideazione e di elaborazione.
È un dato indubitabile quello che ci mostra quali e quanti significati i teenagers attribuiscano all’uso del cellulare che diventa, a volte già in età decisamente precoce, il compagno preferito. Su questa «amicizia» vale la pena riflettere, non in prima battuta per demonizzare e vietare, ma per capire.
Che cosa cerca un’adolescente nel cellulare, che cosa rappresenta per lui? Certamente un oggetto simbolico che esprime il suo bisogno di appartenenza e di comunicazione. Uno dei bisogni principali dell’adolescenza, in tutte le sue fasi, è proprio quello di sentirsi parte del gruppo dei coetanei, che rappresenta il gradino successivo nell’ampliamento dei rapporti dalla famiglia alla società.
Avere un telefonino significa usufruire di uno strumento che permette di inviare messaggi agli amici, partecipare alle chat di gruppo, esplorare, ad esempio, attraverso programmi come Instagram, TikTok, ecc., il mondo dei coetanei e farsi conoscere attraverso foto e documenti. Questo ultimo aspetto risponde a uno dei bisogni fondamentali del preadolescente: quello di esistere nello sguardo degli altri, di essere riconosciuto. Tale allargamento di confini richiede un necessario contenimento da parte dell’adulto, che deve, però, non demonizzare, ma conoscere, capire questi nuovi strumenti di comunicazione.

Uno sguardo agli adulti

Non si rischia di diventare troppo dipendenti da queste protesi tecnologiche, di dedicare ad esse troppo tempo, di limitare la propria autonomia?
Matteo Lancini, nel suo bel libro, Adolescenti navigati (Erickson), ricorda agli adulti che: «La tecnologia nelle mani dei bambini, fin dalla più tenera età, viene consegnata dagli stessi genitori e non dalle istituzioni o, peggio ancora, da “altri” nemici, cattivi, attentatori della salute mentale e del benessere dei più giovani. Per esigenze affettive e di controllo le mamme e i papà che trascorrono molte ore fuori di casa scelgono di regalare un telefonino al proprio figlio, che, peraltro, lo sa usare da molto tempo prima. Per anni, senza ancora possederne uno, il bambino ha osservato i propri genitori intenti a telefonare, messaggiare e fare foto di continuo con il cellulare e ne ha imitato i gesti, arrivando anche a utilizzarlo davvero, nei momenti in cui i genitori erano distratti oppure con il loro benestare, per riuscire, ad esempio, a stare tutti seduti a tavola al ristorante.
Se ci guardiamo intorno, oggi non c’è molta differenza tra l’uso che adolescenti e adulti fanno della tecnologia, degli smartphone e delle loro varie funzioni».

Sono gli adulti stessi a condurre all’uso di questi strumenti, per avere un mezzo di controllo sui figli (il telefonino «cordone-ombelicale»), ma anche per esorcizzare la paura di un figlio isolato, fuori dal giro. Il mito della socializzazione è, infatti, imperante. Si tratta, allora, di gestire l’inevitabile immersione nel mondo digitale, adeguando l’uso degli strumenti alle fasi di sviluppo del bambino/ragazzo, a servizio della crescita delle sue competenze, come supporto all’apprendimento.
Importante è evitare che l’uso degli strumenti digitali monopolizzi tutto il tempo del preadolescente, sostituendosi agli incontri con i coetanei al parco e all’oratorio, alle attività sportive e di formazione in presenza. Se il controllo tende ad essere vissuto come soffocante e quindi ad essere eluso, la vicinanza empatica è, invece, richiesta e desiderata.
Momenti di navigazione condivisa con il genitore e con l’educatore creano sintonia e il sentirsi presi sul serio nei propri gusti e nei propri interessi.


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