Gli adulti spesso restano spiazzati dal fatto che l'adolescente sembra avere un comportamento ambivalente: da una parte rivendica la sua libertà, la pretesa di non avere regole e, dall'altra, mostra una forte spinta a omologarsi, ad aderire alle regole del gruppo dei coetanei, sostituendole quasi a quelle della famiglia.
Nell'adolescente sono presenti entrambi questi bisogni, quello di sperimentarsi sempre più come soggetto autonomo e quello di un contenimento, in cui trovare protezione e sicurezza. Questo duplice bisogno, non facile da armonizzare, crea incomprensioni e conflitti in famiglia, a scuola e in parrocchia. anche il suo rapporto con Dio risente di queste dinamiche...
Ancora una volta, e in modo nuovo e più intenso, l'adolescente è di fronte a un cammino sconosciuto, che lo espone al rischio, ma, al tempo stesso, rappresenta un invito irrinunciabile per la sua crescita. Così come era già accaduto nel passaggio dall'infanzia alla fanciullezza, egli percepisce di essere spinto da una forza che lo invita a prendere il largo, a provare nuove esperienze, a incontrare nuove persone.
Questa spinta evolutiva entra, però, in conflitto con la paura di perdere gli affetti sicuri, il conosciuto. L'autonomia comporta il rischio della solitudine, che l'adolescente non può tollerare, proprio perché il suo bisogno di socializzazione, il suo bisogno degli altri è intenso. Sta all'adulto disporre le condizioni che permettono al ragazzo di sentire rispettato il suo bisogno di autonomuia, ma anche che ci sono sponde, paletti, confini e, soprattutto, vicinanza affettiva, che gli garantiscono la sopravvivenza psichica e fisica.
Nelle famiglie, spesso, è difficile equilibrare esigenze così apparentemente contrapposte; si passa da una infantilizzazione iperprotettiva a una adultizzazione impropria, per cui si lascia al ragazzo la libertà di scegliere anche in situazioni in cui obiettivamente non ha gli strumenti per farlo. Se il controllo da parte dei genitori è necessario, perché la percezione del pericolo di un adolescente non è adeguata al rischio effettivo che può correre - come nelle «navigazioni in internet» che possono esporre a contatti estremamente dannosi -, l'ipercontrollo limita lo sviluppo della coscienza, perché sottrae alla fatica di riflettere su ciò che si ritiene giusto o non giusto fare. In questo contesto appare problematico l'uso, invalso nella scuola, del registro elettronico, dove controllare in tempo reale i voti e la condotta del proprio figlio. Se questo metodo rassicura il genitore, toglie al ragazzo la fatica di decidere come comunicare ciò che avviene a scuola, che cosa dire o non dire e, soprattutto, perché dirlo o non dirlo. Senza spazio di libertà non c'è scelta, non c'è elaborazione del pensiero, non può avvenire quel processo di responsabilizzazione indispensabile allo sviluppo di un'etica sempre meno eteronoma.
Diventare autonomi e fare le proprie scelte in modo sempre più responsabile presuppone l'attivazione di dinamiche d'interiorizzazione, per cui si comincia a formare dentro di sé uno spazio segreto, non costretto alla condivisione, dove riflettere sulla propria identità, sul rapporto con gli altri, sul senso di ciò che viviamo. Segnali di questo processo sono, ad esempio, l'esigenza di avere un diario che raccolga i pensieri che non si vogliono condividere, o un luogo privato in cui rifugiarsi per ascoltare la propria musica, vedere i programmi preferiti, ecc. Ecco allora la propria camera trasformata in rifugio segreto, protetta da cartelli con scritte intimidatorie, a cui possono accedere pochi intimi, con cui condividere i pensieri nuovi rispetto a se stessi, al proprio corpo, ai propri affetti, al pensare cose diverse, magari in contrasto con l'educazione ricevuta.
Anche il rapporto con Dio, fino a questo momento veicolato dagli adulti, ha bisogno di interiorizzarsi, di diventare personale e di trovare un proprio linguaggio. In un'ottica di psicologia della religione che interpreta Dio come figura di attaccamento (Bolwy, Kilpatrick, Aletti, Cassiba) egli diventa, non solo base sicura, ma anche porto da cui prendere il largo e a cui tornare, sentendo che Dio non ha paura della libertà dei suoi figli, ma anzi la desidera e la promuove.
Genitori e educatori non devono aver paura di questi processi, ma incoraggiare i tentativi del ragazzo a confrontare, giudicare, farsi una propria opinione. L'ascolto da parte dell'adulto è il primo contenimento a cui affidare pensieri nuovi e diversi, a volte inquietanti, su se stessi, sugli altri, sulla famiglia, sulla società, su Dio. Da questo ascolto, senza giudizi e pregiudizi, come se si osservasse con occhio vigile, ma fiducioso, l'opera dell'apprendista-scultore che prova ad abbozzare le sue prime figure, si può passare al confronto sempre discreto e aperto.
Un nuovo rapporto con Dio può nascere solo da un nuovo spazio di libertà. A volte la paura che il proprio figlio perda la ricchezza della fede evita di promuovere un suo pensiero personale su Dio e sul suo posto nella propria vita. Eppure senza questo pensiero personale, fragile e contraddittorio, non si sviluppa l'interiorizzazione, cioè quel luogo dove Dio rivela il proprio volto. Così scriveva qualche anno fa una studentessa di scuola superiore: «Per me la fede è cantare a Dio le mie canzoni». Le mie, non quelle che ho fatto mie attraverso l'insegnamento o la tradizione familiare. In questa fase la funzione dell'adulto è fondamentale: egli deve essere in grado di lasciare all'adolescente uno spazio individuale e intimo in cui ascoltarsi e prendere le proprie decisioni, magari con l'aiuto di nuove persone, fra cui ci può essere quell'adulto competente di cui abbiamo parlato più volte.
In questo nuovo spazio intimo si preparano le decisioni concrete, le scelte, la capacità di dire sì o no alle circostanze.