L'ascolto per una crescita integrale

Io - Tu - Noi

Gli educatori non possono ignorare che i messaggi, recepiti costantemente dai ragazzi, sono connotati da intolleranza e violenza: a partire dai macrofenomeni, come la guerra, arrivata alle nostre porte con il conflitto Russia-Ucraina, ai microfenomeni di «ordinaria» violenza fra i giovani, in famiglia, agli sconvolgimenti ambientali, ecc. Tutto questo fa sentire i ragazzi fragili e disorientati, carenti della base sicura, necessaria per vivere e crescere.

È sempre più netta l’impressione della mancanza di un codice comunicativo, che permetta di capire le ragioni dell’altro, e prima ancora di cogliere i bisogni profondi di cui si è, in prima persona, portatori. Sembrano dominare un’opacità del pensare e una difficoltà di dialogo, per cui la violenza contro se stessi, gli altri e le cose resta l’unico linguaggio: un linguaggio muto e oscuro, attraverso cui i giovani tentano di esprimere il male di vivere e un’inconscia, e spesso disperata, richiesta di aiuto.

Come uscirne?

L’ascolto empatico è la prima competenza richiesta all’educatore che non si riconosce mai estraneo al cammino del preadolescente, anche se questi è lontano dai suoi schemi o dalle sue convinzioni. L’adulto deve essere un ascoltatore interessato e non soprattutto un parlatore convincente. Atteggiamento non scontato né a livello teorico, né di applicazione pratica. È difficile, infatti, per l’adulto frenare l’urgenza di offrire consigli e soluzioni, perché si ritengono parte integrante della propria funzione di protezione e di guida. Ma i ragazzi turano le orecchie a consigli non richiesti; nel timore di essere forzati si chiudono a riccio, impedendoci di entrare nel loro mondo interiore.
Un ascolto sereno e interessato, invece, li fa sentire importanti e protagonisti del loro cammino. Li apre alla fiducia nell’adulto di cui, solo in questo clima di affidamento e di libertà, si apprezzeranno indicazioni e consigli. Il tempo dell’ascolto è un tempo prezioso e mai troppo lungo: ci fa capire gli interessi dei ragazzi, il loro modo di vedere le cose, i loro problemi.
L’educatore, spesso, si pone in ascolto del gruppo di coetanei che si confronta. La sua azione è, in tal caso, quella di facilitatore della comunicazione. Prima di tutto egli deve favorire il confronto fra i membri del gruppo, frenando i più esuberanti e incoraggiando i più timidi; deve saper scongiurare il pericolo di sopraffazioni e prepotenze anche solo (!) psicologiche, garantendo quel clima di fiducia, essenziale al dialogo. A lui spetta valorizzare le esperienze e le comunicazioni di ogni ragazzo, perché nessuno si senta deriso o svilito.

Il confronto libero e rispettoso fra compagni è, per il preadolescente, uno strumento di correzione e di trasformazione del proprio modo di pensare e di comportarsi molto più efficace di mille ammonizioni dell’adulto, che interverrà nel dialogo educativo, esprimendo con autenticità il suo parere, senza imposizioni. Il suo atteggiamento autentico, aperto e accogliente lo renderà punto di riferimento affidabile per i ragazzi, che lo ascolteranno, senza paura di essere manipolati, riconoscendogli una funzione di contenimento, ma anche «profetica», di anticipatore di senso. Funzione che non è un optional, ma un vero e proprio impegno etico (Charmet) della generazione adulta nei confronti dei ragazzi.
Preziosa è la lezione di Senise, uno dei più importanti psicoanalisti dell’adolescenza:

«Se è difficile per l’adolescente avere di se stesso un’immagine definita e stabile, se gli è così difficile sapere cosa vuole e cosa vuole diventare, come può un suo interlocutore adulto capirlo? Non può capirlo, ma può accettare di non capirlo e vivere questa condizione come la naturale conseguenza del suo momento evolutivo. Se l’adulto accetta questa condizione e non si propone di fornire un’identità posticcia o inventata, se è disposto ad ascoltare con interesse rispettoso e non giudicante, se sa cogliere e accogliere l’insicurezza palese o nascosta, lo sgomento espresso o in agguato, l’adolescente si sentirà riconosciuto nella sua non ancora raggiunta identità.
Tale riconoscimento che, il più delle volte, deve essere sentito e non comunicato, paradossalmente gli restituisce un’identità che è l’identità dell’adolescenza, quella del cambiamento, della confusione, della precarietà; contribuirà così alla migliore accettazione del suo processo evolutivo che è teso alla ricerca e alla formazione di un’identità; … quanto più questa identità di non identità è accettata da lui e dall’adulto, tanto più sarà facilitato il cammino verso la maturità»,

per sentirsi bene con se stessi e con gli altri.

In ascolto dei ragazzi...

  1. In questo gruppo mi sento ascoltato? Da chi principalmente? Compagni, catechista…?
  2. Ricordo un momento in cui mi sono sentito ascoltato?
  3. Che cosa ho provato? Mi sono sentito incoraggiato a risolvere un problema, a prendere una decisione?
  4. Quali sono, secondo me, le caratteristiche di un buon ascoltatore?
  5. In quale ambiente mi sento più ascoltato? Famiglia, amici, gruppo sportivo, gruppo parrocchiale...

Franca Feliziani Kannheiser, in Dossier Ragazzi & Dintorni | Catechisti parrocchiali, n. 3, Dic. 2022, Paoline, Roma, pp. 4-5


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