La catechesi mistagogica di approfondimento della Celebrazione Eucaristica continua, questo mese, con l'Epiclesi. Don Mario Castellano parla delle sue varie parti per aiutare i ragazzi a entrare nel cuore della Preghiera eucaristica e coglierne tutto il significato per la loro vita.
Dopo aver cantato l'inno del Santo, unendo la voce di tutta l'assemblea a quella di coloro che sono già in cielo, la Preghiera eucaristica continua rivolgendosi sempre al «Padre, veramente santo e fonte di ogni santità» (Pregh. euc. II).
Il rendimento di grazie che il sacerdote, a nome di tutti, ha elevato al Padre, facendo memoria del suo amore infinito e misericordioso si fa ora supplica. C'è un termine un po' complesso, ma molto importante, che definisce questa richiesta. Il termine è «epiclesi» (dal greco: significa «chiamare sopra»). Si chiede al Padre di mandare lo Spirito Santo sul pane e sul vino. Le parole sono accompagnate da un gesto che esplicita l'invocazione dello Spirito: il sacerdote stende le mani sui doni. Non deve sfuggire tale gesto e le parole di richiesta allo Spirito Santo di trasformare «per noi» il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue del Signore Gesù.
Chi presiede continua, poi, a rivolgersi al Padre con «il racconto dell'istituzione» dell'Eucaristia, ripetendo le parole e i gesti di Gesù durante l'ultima Cena, quando «prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi"...» (cfr. 1Cor 11,23-26) e lo stesso fece con il calice del vino. L'invocazione dello Spirito Santo e la ripetizione delle parole di Gesù trasformano il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue. Il sacerdote li mostra all'assemblea affinché tutti possano guardare e adorare la presenza di Gesù in mezzo a noi. In quella Cena Gesù, rivolgendosi agli apostoli, aggiunge: «Fate questo in memoria di me».
In obbedienza a questo comando del Signore i sacerdoti, nella Preghiera eucaristica, tornano a compiere quei gesti e a dire quelle parole di Gesù, non per rappresentare l'ultima Cena, ma per rivivere l'esperienza salvifica della sua morte e risurrezione, mediante la ripetizione del segno della Cena. «Riproduce la Cena ma contiene la Croce», ripeteva il vescovo M. Magrassi, parlando della Preghiera eucaristica, come ho già ricordato. La Messa è un banchetto, ma è prima di tutto il memoriale del «Sacrificio di Cristo», della sua morte e risurrezione.
L'Eucaristia è memoriale dell'amore di Gesù, Figlio obbediente al Padre fino alla morte di croce. Quel sacrificio vissuto per amore, «in remissione dei peccati», ha ridato a noi la dignità dei figli di Dio e ci ha riportato nella comunione con il Padre.
Ciò che si sta celebrando è quanto la Chiesa nel l'assemblea liturgica afferma, acclamando alla monizione che segue la Consacrazione, «Mistero della fede!»: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta!».
L'acclamazione anticipa quanto il sacerdote dice, riprendendo la preghiera al Padre a favore di tutti: «Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell'attesa della sua venuta, ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo» (Pregh. euc. III).
Al Padre è offerto il sacrificio del Figlio per la nostra salvezza. Offrendo Gesù, però, dobbiamo offrire noi stessi, cioè vivere la nostra vita in maniera bella, senza peccato, gradita al Padre perché anche noi siamo, grazie a Cristo Gesù, suoi figli amati e santi.
Per tutti e per ognuno celebrare l'Eucaristia, memoriale della Pasqua di Gesù, significa lasciarsi interpellare e coinvolgere, in prima persona, da Colui che è morto e risorto per donarci la sua vita e renderci, riconciliati con il Padre, creature nuove, fratelli e sorelle. Tale umanità nuova e fraternità devono manifestarsi nella quotidianità della nostra esistenza.
Nella Preghiera eucaristica, oltre alla prima «epiclesi» sul pane e sul vino, c'è una seconda «epiclesi» che ci fa chiedere allo Spirito Santo di trasformare noi in un solo corpo: «... e a noi, che ci nutriamo del Corpo e Sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito» (Pregh. euc. III). Gesù si rende presente con il suo Corpo e si dona a noi per renderci membra vive di quello stesso Corpo.
Le intercessioni che seguono la seconda «epiclesi» sono come l'estensione, a cerchi concentrici, di questo corpo che si dilata, abbracciando la comunità presente («questa famiglia»), la Chiesa locale («con il nostro vescovo»), la Chiesa universale («con il papa»), il mondo («i nostri fratelli ovunque dispersi») e la Chiesa celeste («Maria, gli Angeli, i Santi, i defunti»). E per tutti la stessa invocazione: la trasformazione in un solo Corpo, quello glorioso del Figlio di Dio.
La dossologia finale è una lode al Padre nella comunione dello Spirito Santo. Il popolo conclude con un Amen corale che, al dire di S. Girolamo, dovrebbe avere il fragore di un tuono. È la ratifica dell'assemblea a tutta la grande preghiera.
È questo l'Amen più importante della celebrazione. Il gesto compiuto dal sacerdote al termine della Preghiera eucaristica è una vera elevazione. Ha lo scopo di presentare al Padre, per offrirgliela, la vittima immacolata, Gesù, suprema espressione dell'onore e della gloria dovuti a Dio. Grazie a Gesù, «per lui, con lui e in lui», la nostra intera esistenza e quella di tutta l'umanità diventa «un sacrificio perenne» per la gloria del Padre.
1. Occhi e cuore rivolti al corpo e al sangue di Gesù
Siamo nel cuore della grande Preghiera eucaristica. Se è importante seguirla con attenzione dall'inizio alla fine, ancor più nel momento della «epiclesi» e del «racconto dell'istituzione» non bisogna distrarsi. In ginocchio, come prescritto, o anche restando in piedi, tutti dobbiamo volgere gli orecchi e gli occhi all'altare, per riconoscere, contemplare e adorare il Corpo e il Sangue di Gesù, offerti per noi.
2. L'acclamazione finale di tutti
La partecipazione di tutti deve manifestarsi in modo solenne e gioioso nell'Amen finale. Sarebbe bello e significativo imparare a cantare tale Amen che deve risuonare, con tanta forza, da parte di tutta l'assemblea liturgica.