I pellegrinaggi esigevano una testimonianza di fede impegnativa sia spiritualmente sia fisicamente. Pellegrinare verso Roma, san Giacomo di Compostela, Gerusalemme… richiedeva mesi e anche anni.
Fare un pellegrinaggio sarebbe stato ancora più temerario e azzardato senza luoghi di riposo e di sostegno, come le locande, ereditate dall’impero romano, e i monasteri, una geniale e provvidenziale «invenzione». Con il potere di Roma in sfacelo, la vita era difficilissima, e la gente cercava solo di salvarsi la pelle. Non tutti, però…
Benedetto (Norcia, 480 ca. - Montecassino, 547 ca.), giovane benestante, fu mandato dalla famiglia a Roma per fare carriera, tuttavia, insoddisfatto per come andavano le cose, aveva lasciato tutto per diventare eremita: una scelta frequente a quei tempi, consistente nel vivere da soli in luoghi solitari e impervi, in grotte o anfratti. Avendo visto, però, il comportamento di molti eremiti, spesso sui generis e vagabondi, pensò di creare «una casa» che riunisse persone desiderose di vivere la fede assieme ad altri per pregare e lavorare, rimanendo nello stesso luogo fino alla morte: il monastero.
Uomo di fede profonda e concreta scrisse la Regola: norme di straordinaria importanza e lungimiranza per coloro che avessero deciso di farne parte. L’esperienza, iniziata nel 529 a Montecassino nel Lazio, si diffuse rapidamente nei Paesi che avrebbero costituito, poi, l’Europa – ecco perché Benedetto ne è il protettore – e dove i monaci, «pregando e lavorando», diedero inizio alla ripresa della civiltà del passato e alla nascita di quella nuova. Tra queste attività di particolare importanza era l’accoglienza dei pellegrini. Ecco cosa stabilisce la «Regola» a tale riguardo.
«Tutti gli ospiti che sopraggiungono siano accolti come Cristo, poiché egli dirà: “Ero forestiero e mi avete ospitato”. E a tutti si renda l’onore dovuto, soprattutto ai fratelli nella fede e ai pellegrini. Non appena, quindi, viene annunziato un ospite, subito gli vadano incontro il superiore e i fratelli con tutte le premure suggerite dalla carità; prima si preghi insieme e poi ci si scambi il segno della pace… Nel modo stesso di salutare si dimostri la più grande umiltà verso tutti gli ospiti che arrivano o che partono: col capo chino o con tutto il corpo prostrato a terra si adori in essi Cristo, perché è lui che viene accolto. Una volta ricevuti dunque, gli ospiti siano condotti alla preghiera; dopo, sieda con loro il superiore o un fratello da lui incaricato. Si legga in presenza dell’ospite la parola di Dio per edificarlo; e poi gli venga usata ogni attenzione. L’acqua alle mani la versi agli ospiti l’abate; i piedi a tutti gli ospiti li lavino sia l’abate che tutta la comunità… Si usi una particolare attenzione soprattutto nell’accogliere i poveri e i pellegrini, perché nelle loro persone si riceve Cristo in modo speciale, mentre la soggezione per i ricchi di per se stessa spinge a rendere loro onore» (cap. 53). È evidente che questa «accoglienza», che comportava pregare e lavorare con i monaci, diventava uno screening tra i pellegrini che cercavano riposo anche spirituale e quelli poco inclini al silenzio e alla preghiera.
I MONASTERI OGGI
Nel corso dei secoli il rapporto tra pellegrini e monasteri non si è mai interrotto; anche nell’Anno Santo, ormai alle porte, molti pellegrini faranno sosta nei monasteri, per prepararsi a varcare la Porta Santa, per rafforzare la fede, la speranza e la carità con la preghiera e le opere: alloggiare i pellegrini, perdonare le offese, consolare gli afflitti.
E coloro che non potranno sostare nei secolari e storici monasteri? Li costruiranno idealmente con spazi più ampi per la preghiera personale, con giornate di riflessione assieme al proprio gruppo, con domeniche speciali, ritiri spirituali, iniziative di volontariato e di carità.
Alloggiare i pellegrini
L’accoglienza dei pellegrini nasce dalla convinzione di dover accogliere tutti, perché in chiunque incontriamo sulla nostra strada c’è Gesù. L’accoglienza materiale oggi è gestita dalle organizzazioni turistiche, dalle associazioni, dalla Caritas, dal volontariato. Per noi, però, non valgono se manca la nostra accoglienza, in particolare quella spirituale: il cuore e la mente aperti a chi bussa alla nostra porta.
Perdonare le offese
Accogliere tutti è bello, non si risolve, tuttavia, in sorrisi e pacche sulle spalle, ma implica avere e mantenere il cuore sgombro da gelosie, invidie, ripicche, rivendicazioni, mancanza di rispetto e gratitudine.
Consolare gli afflitti
In ogni casa, in ogni gruppo, in ogni iniziativa sono presenti «gli afflitti»: quelli lasciati indietro, quelli meno fortunati, meno simpatici, meno svegli e furbi, meno belli, meno… Accogliere i pellegrini vuol dire partire da costoro.