Pellegrinando - 7

Giubileo 2025

I cristiani hanno sempre dato molta importanza all’opera di misericordia, «visitare gli infermi», considerata un impegno fondamentale per esprimere la fede non a parole, ma con i fatti. Il perché è presto detto: guarire gli infermi è stata il segno più frequente che ha accompagnato e certificato la predicazione di Gesù: «Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui.

Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva» (Lc 4,40); «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati» (Mt 14,14). Il suo biglietto da visita a Giovanni Battista che aveva inviato i suoi discepoli ad assicurarsi se era lui quello che stavano aspettando, dichiarava: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,5). Ai discepoli mandati in missione chiese di guarire i malati delle città dove andavano a predicare e, nel momento in cui abbandonò la terra, promise che uno dei segni di fede autentica sarebbe stato: «Imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,18b).

Visitare gli infermi non è facile perché non si risolve solo in un saluto o in una stretta di mano, ma nel fare tutto il possibile per alleviare le ferite del corpo e dello spirito, tant’è vero che, per ricordare, incoraggiare, risvegliare questa «opera di carità», lo Spirito Santo ha suscitato sempre – e suscita anche oggi – cristiani esemplari per coraggio e generosità. Ecco alcuni cenni.
I Mercedari, sorti nella Spagna dominata dai Mori (i musulmani) nel 1218 d.C., il secolo che si chiuse con il primo giubileo del 1300, si dedicavano al recupero dei cristiani, resi schiavi dai musulmani, dietro pagamento. Il riscatto avveniva con le offerte della gente, ma quando il denaro raccolto non bastava, un frate si offriva a diventare schiavo al posto di un altro, finché non si fosse trovata la somma richiesta.
Molto significative le testimonianze di Luigi Gonzaga e Camillo de Lellis. Il primo, figlio primogenito del marchese Luigi, di Castiglione delle Stiviere, rinunciò all’eredità per diventare gesuita; a Roma, durante un’epidemia (nel 1590), trasportando sulle spalle un infermo all’ospedale, fu contagiato e morì a ventitré anni. Il secondo, Camillo de Lellis, soldato di ventura e accanito giocatore d’azzardo, convertitosi, si dedicò all’assistenza dei malati e fondò, a tal scopo, la «Compagnia dei ministri degli infermi».
Ricordiamo la cura coraggiosa e generosa dei malati di san Filippo Neri, negli ospedali di Roma; di san Giovanni Bosco, nell’epidemia di colera del 1854; di san Giuseppe Moscati, scienziato medico che rinunciò alla carriera per rimanere vicino ai malati; di Carlo Urbani, medico e microbiologo, morto per individuare e fermare l’epidemia di SARS, che egli per primo aveva scoperto; i medici (379) e gli infermieri (90), morti durante il covid-19…, e raccogliamo tutti nella testimonianza esemplare di Madre Teresa di Calcutta.

Domanda: nel pellegrinaggio del Giubileo della speranza c’è un modo migliore, più evangelico e più socialmente utile del «visitare gli infermi», così da donare e testimoniare loro la speranza?

VISITARE I MALATI OGGI

Possono i cristiani di oggi praticare questa opera di carità? Ovviamente sì, sarebbe impossibile toglierla dall’elenco, perché si cancellerebbe il «ero malato e mi avete visitato» di Gesù. Tuttavia ci sono difficoltà nuove. Ormai i Paesi – soltanto quelli ricchi purtroppo – provvedono a curare gli infermi in ospedali, cliniche, strutture specializzate, con medici che, tramite il web, possono interagire da e in qualsiasi parte del mondo con persone qualificate e competenti. Questa possibilità straordinaria potrebbe indurre i cristiani a ritenersi dispensati dal visitare i malati, per delegare tale compito alle diverse esperienze di volontariato.
D’altronde non si può entrare nelle corsie, intralciando il lavoro dei medici. Peggio sarebbe sostituirsi ai medici, agli infermieri, ai farmacisti, dando consigli presi da internet e mettendo a rischio la salute dei malati: è noto a tutti quanti truffatori affollano questo settore. Non si può nemmeno andare a visitare i malati nelle abitazioni private che, oggi, sono aperte malvolentieri persino ai parenti.
Allora cosa fare? Una responsabilità grande, che incombe su tutti, è quella di prevenire gli incidenti e le malattie: rispettare le regole della strada sia se si usano i mezzi (auto, moto, biciclette, monopattini…) sia se si va a piedi; rifiuto netto di alcool, droghe, fumo; evitare l’uso compulsivo di computer e cellulare; non cedere al contagio di stordirsi in discoteca; eludere le risse e le bravate di gruppo contro i più deboli; rifiutare qualsiasi forma di bullismo…; sono tutte opere di carità.
Vasto è anche il campo di intervento caritatevole per le malattie «spirituali e psicologiche», che nascono da disistima di sé, dalla non accettazione del proprio corpo; dalla sottomissione ai modelli di bellezza e di forza, propagandati come vincenti. Per queste malattie dello spirito, l’amicizia, l’attenzione, la vicinanza, la pazienza sono più importanti delle pasticche e tutti possono praticarle in maniera amichevole senza titoli e certificati.

Punteggiare il pellegrinaggio verso la Porta santa con queste opere è quanto di meglio ci sia per coltivare e donare «la speranza che non delude».


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