È bello e suggestivo immaginare le folle di pellegrini che – dal 1300 fino ai giorni nostri, provenienti dai Paesi dell’ex-impero romano, che stavano diventando nazioni, e poi, dopo la scoperta dell’America, da tutto il mondo – si dirigono verso Roma...
Era entusiasmante ascoltare, dopo i loro percorsi, faticosi, lunghi, rischiosi, il grido di gioia e i canti di lode al vedere la città di Pietro. Allora tutte le sofferenze e gli stenti sparivano e i pellegrini si affrettavano a raggiungere il traguardo per il quale avevano sopportato ogni difficoltà: attraversare la Porta santa per ottenere l’indulgenza plenaria, cioè per essere liberati da tutte le pesantezze che i peccati, pur perdonati, lasciano. Oggi non è più così. Si arriva a Roma senza tanta fatica, se non quella di sottrarre qualche giorno al lavoro, alla famiglia; qualcosa al portafoglio; e armarsi di pazienza per le file e i controlli. Però la gioia al vedere la città eterna è sempre viva.
La Porta Santa è quella di una basilica romana (San Pietro, San Giovanni, Santa Maria Maggiore, San Paolo fuori le mura), o di una cattedrale diocesana, o di un santuario, oppure anche della chiesa del carcere romano di Rebibbia, che il Papa ha dichiarato Santa. Il primo a proclamarne una fu Papa Celestino V che, nel 1294, dichiarò Santa la porta della Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila, su richiesta della Madonna che, in sogno, gli aveva dato l’indicazione del luogo e del significato.
La nascita ufficiale, però, avvenne con il primo Giubileo della storia, indetto da Bonifacio VIII nel 1300, da ripetere dopo cento anni, poi ridotti a cinquanta, quindi a venticinque, in modo che ogni generazione avesse l’opportunità di usufruirne. Materialmente essa è una porta costruita o adattata per essere aperta all’inizio di ogni Anno Santo, che si richiude, per riaprirla all’inizio del nuovo Anno Santo. Spiritualmente è il segno di conversione a una vita cristiana, rinnovata dal perdono di tutti «i debiti» e liberata dalle conseguenze dei peccati, sia personali sia di defunti in attesa di passare dal Purgatorio al Paradiso.
Come mai a simbolo di un evento così importante come il dono dell’indulgenza plenaria è stato scelto, addirittura su suggerimento della Madonna, un oggetto così comune come la porta? L’ha scelta Gesù, che l’ha eletta a similitudine della sua vita e della sua missione: «"In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori…". Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore"» (Gv 10,1-3.6-7).
La scelta di Gesù è evidente. Egli parla della porta dell’ovile perché il paragone era immediatamente comprensibile agli ascoltatori del suo tempo, quando la pastorizia era una delle principali occupazioni; ed è facilissimo e immediatamente spontaneo passare dall’ovile a ogni altro luogo di vita: la casa, il lavoro, la città, e perfino il giorno che, al mattino, si apre alla luce e, alla sera, conduce al riposo.
Il messaggio è, così, molto più vasto, profondo e importante della cosa in sé (cioè la porta), perché il manufatto, oltre a indicare la sua funzione pratica: entrare e uscire da un ambiente, rimanda a valori sociali e spirituali fondamentali, presenti chiaramente anche nelle parole di Gesù. Senza la porta, l’ovile sarebbe o in balia dei ladri, oppure una prigione, o un muro invalicabile contro il quale battere inutilmente la testa.
UNA PORTA DIVERSA
È chiaro, però, che la Porta Santa si differenzia dalle altre. Ce lo rivela un particolare apparentemente di poca importanza: la Porta Santa del Giubileo la si attraversa per entrare, ma non per uscire; per tornare fuori è obbligatorio un passaggio diverso. Perché? Perché non si può uscire come si è entrati.
Quel passaggio esprime l’incontro con Gesù, un abbraccio per presentargli la propria vita, chiedendo misericordia, per riprendere a essere «sue pecore», con maggiore generosità; e accelerare per i defunti la purificazione verso la pienezza della vita eterna.
La Porta Santa, maestosa e bella, come quella delle basiliche romane, oppure semplice e povera come quella del carcere o di altre chiese sparse per il mondo, è il simbolo della Porta che si apre nel cielo quando il Signore radunerà tutti i popoli per pronunciare il suo: «Venite, benedetti del Padre mio», oppure il «via, lontano da me» (cfr. Mt 25,31-46). È fantastico pensare che familiari, parenti e amici defunti possano accelerare la chiamata di Gesù al «regno preparato fin dalla creazione del mondo» per la nostra entrata nella Porta Santa.
Bisogna attraversarla non come turisti, bensì come «pellegrini», arrivati lì con un lungo e impegnativo pellegrinaggio, spirituale se non è stato possibile realizzare quello materiale. Ciò che è richiesto, non come pedaggio, ma come segno concreto di conversione e di rinnovamento è poco ed è leggero (un Pater, Ave, Gloria, in unione con il Papa e tutta la Chiesa, il Credo, il sacramento della riconciliazione, la Messa), ma è da acquisire con la pratica quotidiana delle opere di carità materiali e spirituali, che ci conducono, con serenità, ad ascoltare il «vieni benedetto dal Padre mio» di Gesù.