Il libro esplora la crisi attuale delle parrocchie, segnate da stanchezza e sfiducia, interrogandosi sulla possibilità di una loro rinascita. A partire dall’icona evangelica di Giovanni 21, Sergio Di Benedetto legge il tempo presente come occasione di trasformazione, suggerendo vie concrete per ripensare strutture, ruoli e stili pastorali. Tra intuizioni bibliche e voci profetiche contemporanee, emerge un invito a “gettare le reti in modo nuovo” perché la parrocchia possa tornare luogo vivo di Vangelo e di relazioni generative.
C’è una resurrezione possibile per le nostre parrocchie? Per le nostre parrocchie stanche, sfiduciate, che vedono sempre meno fedeli, e sempre più anziani, è possibile immaginare un futuro diverso che non sia la consunzione o il ripiegamento nostalgico? Si può aprire qualche riflessione sulla parrocchia, qualche analisi e qualche esame di coscienza, che non si fermi sono alla lamentela, che non pecchi di astrattismo, che non si faccia dettare i ritmi solo dalla ripetizione rassegnata?
Se la legge fondamentale del cristianesimo è quella della resurrezione (da morte) del Cristo, allora possiamo sperare che la fase di travaglio e di crisi che attraversano le nostre comunità cristiane sia una fase di morte di una forma di vita cristiana, per poi risorgere in nuove forme, secondo ciò che lo Spirito animerà.
Da queste domande e da queste speranze mi sono mosso per provare a dare corpo e scrittura a pensieri, intuizioni, orizzonti di senso, che insieme si sono piano piano intrecciate in questa dinamica di buio e luce, approdando a una Parola che è diventata poi la Parola che guida il testo, ovvero la grande icona di Giovanni 21, 1-14, l’ultima pesca miracolosa che accade nel Vangelo, l’ultima aggiunta, in extremis, a una storia che sembrava già conclusa.
Così, rileggendo l’intero episodio della pesca sul lago di Tiberiade, ho riletto passo passo quanto sta accadendo alle nostre parrocchie: c’è un momento di buio, di reti vuote e di crisi (ne ho individuate sette). C’è, soprattutto, la sfiducia dei discepoli che ripetono gesti prima fecondi, ma ora, invece, terribilmente sterili, poiché «in quella notte non presero nulla».
Bisognerà, allora, dopo aver guardato fino in fondo agli stati d’animo e ai problemi che affliggono oggi l’istituzione parrocchia, in un contesto totalmente diverso rispetto a quello che c’era qualche decennio fa, tentare qualche via di ripartenza, sapendo che il Risorto ancora oggi parla: però il Vangelo ci ricorda che il Nazareno arriva dove non lo si attende, in un modo insolito, e non si fa subito riconoscere. Se la parrocchia vuole tentare di essere ancora fertile di umanità e annunciatrice di Vangelo, dovrà prima di tutto farsi nuovamente evangelizzare: cosa significa questo in termini di ripensamento di strutture, ruoli, attività, persone, parole d’ordine? Ho tentato qualche risposta, cercando di seguire ciò che il tempo in cui viviamo sembra suggerire e, anche, plasmando qualche tessera del mosaico nata da alcune parole profetiche di grandi testimoni (Madeleine Delbrêl, Dietrich Bonhoeffer, Carlo Maria Martini, papa Francesco, Simone Weil e altri). Da ciò emerge un’opzione Tiberiade, che è poi lo stile del Risorto, che sceglie di stare fuori, là dove non è aspettato; di accompagnare con delicatezza; di chiedere e al tempo steso offrire. Può la parrocchia, in questo frangente storico, ripensarsi? E come? Ho messo a fuoco alcune piste di lavoro, che riguardano ministeri, età e stati di vita — presbiteri (sempre più affaticati), laici (che oscillano tra clericalismo e diserzione), consacrati, famiglie e giovani, anziani e bambini —, perché oggi tutti, in buona sostanza, vivono la fatica delle parrocchie. E poi ho allargato la sguardo verso gli ‘esiliati dalla parrocchia’, credenti che per conservare la fede hanno dovuto fare un passo indietro; e poi ai ‘cercatori’, fino a chi non ha mai sentito l’annuncio cristiano. A tutti questi uomini e donne, la parrocchia oggi può offrire qualcosa, e in che modo? Credo ci siano sentieri di vita nuova. Ma occorre, ancora una volta, gettare la rete in un altro modo e poi, con docilità, ascoltare un invito diverso per ricomporre relazioni di bene, dove il Cristo si renda presente.
Sergio Di Benedetto