Ci sembrava di sognare

Secondo Antonietta Potente, la dimensione della preghiera è strettamente legata a quella del sogno, inteso come percezione dei percorsi misteriosi dell'interiorità, che si dilatano a esplorare i confini del mondo umano cosmico, alla ricerca di Dio, al quale affidare il nostro desiderio di libertà, armonia, comunione.

Chissà che la preghiera non assomigli al sogno? Non illusione, non sguardo retrospettivo su un accumulo di passato depositato, ma veglia inquieta sulla realtà. Raccolta di frammenti di desideri profondi. Tutto si svolge in quei meandri più profondi della vita dove le percezioni sonore diventano lampi di luce, idee e pratiche di vita, poetiche profezie e verità splendenti. E come abbiamo già detto, se qualcuno domanda di essere iniziato alla preghiera, in realtà sarà accompagnato nei luoghi più profondi di se stesso; allo stesso tempo sente che quelle dimensioni si dilatano fino a ritrovarsi in quel mondo umano-cosmico che appartiene a tutti. Chissà se la preghiera non è lo spazio del sogno o il sogno è alimentato dalla preghiera?

La mia risposta è questa: tutte e due le cose, sono come vasi comunicanti o alambicchi collegati tra di loro il cui fluido si alimenta contemporaneamente. Nella preghiera è come se in qualche modo sognassimo e la preghiera alimenta il sogno. Ma di che sogni parliamo? Per spiegarmi mi soffermo davanti a uno dei quadri più belli disegnato nelle Scritture ebraiche e divenuto tradizione anche per i cristiani: il Salmo 126. In questo salmo, proprio come nel sogno, il tempo fluisce tra ciò che avvenne e ciò che dovrebbe avvenire. Si mantiene viva la memoria, perché anche Dio si ricordi e sospinga il presente verso una condizione umana.

Si tratta di un'esperienza di esilio, andate e ritorni costanti dell'umanità; esodi dei popoli, prigionie, forze contrarie alla costruzione di un mondo-casa comune. Sembra che il salmo sia stato composto da qualcuno che ha ben conosciuto l'esilio e che ancora ricorda quei brividi che attraversarono i corpi degli esiliati quando ebbero sentore della liberazione. Leggendo attentamente questo salmo ci si accorge di quanto esso sia sonoro: non solo canti di gioia ma anche il rumore di quella trepidante corsa verso la liberazione. Infatti, nella logica del popolo ebraico assomiglia ad altri canti di uscita dall'Egitto. Tutto servì a quel gesto di liberazione, il mare si ritrasse, il Giordano si volse indietro: «Quando Israele uscì dall'Egitto, i figli di Giacobbe da una terra straniera (...) il mare vide e fuggì via, il Giordano tornò indietro, come capre saltarono i monti, come agnelli le colline» (cfr. Sal 114,1.4).

Allora è vero, forse il Salmo 126 è un sogno, un intreccio di tempi cronologici: da una parte ciò che l'anima si portava dentro e dell'altra ciò che il corpo, nel presente, avrebbe voluto vedere. Tutto cospira perché qualcosa avvenga. E ciò che deve avvenire è che altri ritornino (cfr. Sal 126,4-6). Il rumore si fa assordante: come i torrenti del Negheb. In ebraico, infatti, l'immagine del torrente rende davvero l'idea della liberazione: nessuno può trattenere gli esiliati, il loro cammino e il loro corso. Fare sogni allora è visione profetica, ma non per aspettare passivamente che si avveri qualcosa, ma per sospingere la storia.

Ogni profeta e profetessa hanno sognato. Ma se noi oggi proviamo a ripetere questo salmo dovremmo farlo non con le bocche piene di gioia ma con una grande amarezza. Oggi la nostra è una storia di esilio e di esiliati; ovunque ti giri vedi persone che non possono stare dove vorrebbero. Eppure, nel Talmud Babilonese si legge che il ritorno degli esiliati è importante come il giorno in cui furono creati il cielo e la terra. Come mai non ce la facciamo? Come mai rendiamo il mondo-casa così inospitale? Se almeno Dio ci aiutasse a ricondurre la realtà in un altro modo.

Nel salmo si parla di semi da gettare, ma è davvero un sogno dell'anima desiderante? Oggi chi parte, non porta nulla con sé; non ha nessuna semente da gettare, anzi non la lascia nemmeno nella propria terra, perché la maggior parte dei territori abbandonati, oggi come oggi, sono già dei deserti. Questo salmo per me va letto al rovescio, partendo dall'ultimo versetto: chi parte piangendo sogna.

E cosa sogna?

Sogna che la sua fatica, il suo dolore si trasformino in qualcosa da raccogliere. La preghiera è questa: « ristabilisci la nostra sorte », ristabilisci questa umanità destinata alla guerra e alla violenza. Dacci la forza di scorrere liberi come dei torrenti nella primavera. Nell'andare, questi popoli lo sanno che il Signore – Dio degli ebrei o degli arabi o dei cristiani o di chiunque sussulti nella fede – aveva fatto grandi cose per loro, lo dicono e lo ripetono anche per chi non lo sapesse. Si ricordano che tante volte la loro bocca si era aperta per cantare e le loro labbra si erano dischiuse al sorriso. In quei momenti gli era sembrato di sognare.

Dal libro: Ci sembrava di sognare di Antonietta Potente, Paoline


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