«Penso che noi genitori siamo proprio come barche a vela… Quando ci nasce un figlio è come quando ci mettiamo a solcare mari sconosciuti. A volte placidi, a volte in burrasca. Lo sapremo solo navigando… A volte perderemo la direzione o cercheremo disperati una stella polare, altre volte troveremo porti sconosciuti che ci daranno un riparo inaspettato. O altre barche sparse nel mare, che ci faranno compagnia. Ma scegliere di continuare a navigare… È l’unica scelta che abbiamo».
Ho riportato alcune righe dell’ultima pagina di questo libro, che è suddiviso in sei capitoli tanti quanti i giorni di ferie che Laura Cappellazzo, l'Autrice, si accinge a vivere con la sua famiglia e, attraverso lo smartphone, con un’amica che ha bisogno di lei.
Tutto comincia la vigilia della partenza per questa desiderata settimana di ferie, vigilia piena di valigie, di elenchi relativi a tutto quello che non si può dimenticare, dal momento che i figli sono quattro! In questo contesto arriva la telefonata di un’amica che le comunica di essere incinta. La sua voce tradisce tutto lo smarrimento, la paura, la sorpresa e il senso di inadeguatezza…
L’Autrice, che non vuole lasciare sola la sua amica in questo momento delicato, escogita un piano molto convincente e simpatico che aiuta la sua amica e non interferisce nei programmi della sua famiglia. Questo piano, una specie di gioco, prevede che la sua amica le mandi un messaggio ogni giorno con una domanda a cui lei risponderà con una foto e un vocale: «Vedrai la foto, saprai che mi sto godendo le vacanze e che quindi non stai disturbando per nulla. Se vuoi, ascolti il vocale, se no fa niente». Così lo smartphone diventerà il loro salotto delle confidenze.
Le foto danno il titolo ai sei capitoli e ogni foto parla all’Autrice, le ricorda qualcosa di importante dei suoi quattro figli e delle piccole e grandi bufere attraversate insieme al marito per raggiungere un piccolo approdo, mai definitivo ma sempre punto di ripartenze. Così, giorno per giorno, l’Autrice affida a un vocale i suoi ricordi, che diventano messaggi di fiducia nella vita, più grande e più generosa di quanto riusciamo a immaginare.
Con ironia e tanta sincerità l’Autrice si lascia provocare da quello che vede intorno a sé. Conchiglie rotte diventano così una foto e un lungo messaggio vocale in cui ricorda di quante volte si è sentita proprio così, una conchiglia rotta. «Molte volte, se penso alla mia esperienza di madre, mi sono sentita rotta. Rotta nel fisico: i giorni immediatamente successivi al parto, quando non c’è più nemmeno un punto del tuo corpo che non ti faccia male… Quando non dormi per giorni e giorni di fila, la testa ti scoppia dal sonno… Ma, molto più spesso, mi sono sentita rotta nell’anima. Vulnerabile. Priva di forze. Incapace… I ricordi di quel tempo fuori controllo mi permettono di essere grata del mio oggi. Ogni crepa che ho sul mio guscio di conchiglia è una battaglia vinta».
Nei suoi messaggi vocali non racconta solo la sua esperienza di madre, che descrive con uno stile pieno di ironia e con un linguaggio lieve eppure molto denso. Racconta anche le sue esperienze di educatrice impegnata in progetti sociali in Italia e in America Latina. Esperienze che le hanno fatto toccare con mano la miseria, la violenza e l’umiliazione, ma anche il coraggio e la determinazione di molte donne che hanno vissuto l’esperienza della maternità in contesti estremi.
Una tenda nella sabbia, con la sua provvisorietà e fragilità è una foto che permette all’Autrice di raccontare la storia di un bambino per il quale nessuno aveva potuto o voluto preparare una tenda e che era nato lo stesso, perché bisogna sempre aver presente «che a volte la vita succede senza spiegazioni. Che la tenda è un mistero sacro. Che si può nascere anche tra gli stracci, o in un gommone in mezzo al mare, senza norme igieniche, corsi pre-parto o fiocchi colorati all’ingresso. Si può nascere anche se nessuno ti ha fatto posto, ti ha creato spazio». Oppure la storia di Sara e di Matteo, suoi amici imprevedibili e generosi, genitori di due ragazze adolescenti che decidono di allargare gli spazi della loro tenda, accogliendo - quasi a sorpresa - nella loro piccola casa, due sorelline che arrivano dall’Ecuador. Così l’Autrice racconta all’amica la loro esperienza di accoglienza: «Sara e Matteo si sono guardati a lungo negli occhi, senza dire una parola… hanno fatto il giro della loro abitazione: quel letto si poteva spostare un po’ più in là, su quella parete poteva starci qualche mensola in più, in bagno avrebbero aggiunto un pensile… Perciò hanno risposto di sì: nella loro tenda potevano starci due bambine in più… Temevano di non esserne capaci fino a che non hanno pranzato per la prima volta tutti e sei attorno al tavolo di casa… Non lo sai di riuscirci fino a che non ci provi, ad accogliere. E a ogni litigata, a ogni errore, a ogni pianto, penserai di aver sbagliato tutto. Ma, asciugate le lacrime, ti accorgerai che la tenda regge, nonostante il vento forte o il sole che picchia duro. Perché sei tu a farla stare su. Tu e la tua ostinata volontà di fare spazio».
Sono molte le pagine così coinvolgenti e vale la pena di prendere in mano questo libro che parla della maternità e di tutto - ma proprio tutto - quello che porta con sé di gioia, di trepidazione, ma anche di fatiche e di paure piccole e grandi e l’Autrice lo dice a chiare lettere: sono proprio queste ultime, che danno la vera consistenza e stabilità alla gioia di essere madre.