Giustizia e pace

«C’è modo e modo per risolvere il conflitto: quando lo si risolve con la spada resta sempre una cicatrice che fatica a ricomporsi, ma quando si ricorre alla mediazione possiamo avere un effetto rigenerativo» (Maria Cartabia).

Certe parole vengono da lontano e in alcuni momenti trovano un loro posto, in certa misura perfetto. Mentre infatti si mette a punto e si pubblica un testo a lungo meditato e sperimentato, le parole di Quasimodo che ne introducono il percorso suonano drammaticamente attuali: «sei ancora quello della pietra e della fionda / uomo del mio tempo...». Lo sfondo che non si può tacere è infatti quello di una guerra moltiplicata, combattuta in molti luoghi, ma sempre sulla carne di donne e uomini, vittime di un odio insensato. Agogniamo ancora alla sapienza della nonna di Maria Martello, «lieve come bimba, forte come roccia, solidale ed empatica». Quella donna sembra salire dalla notte dei tempi e portare in questo terzo millennio la forza arguta di Lisistrata, nell’omonima opera di Aristofane:

Se aveste cervello trattereste i conflitti come si fa con la lana. Come, quando la matassa è ingarbugliata, la prendiamo e la dipaniamo sui fusi, tendendola da una parte e dall’altra, così se ci lasciate fare sbroglieremo la guerra, lavorando da una parte e dall’altra, con le ambascerie. Prima di tutto, come si fa con la lana, togliendo via con un bagno il sudiciume della città. Poi, stendendola su un letto, togliendo di mezzo con un bastone spine e malanni. Poi cardare quelli che tramano in società per le cariche e spelargli bene la testa. Poi in un paniere mescolare la concordia comune e pettinarla, mettendo insieme i meteci, gli stranieri che vi sono amici e debitori dello Stato. E le città dove abitano coloni ateniesi dovete considerarle come i bioccoli caduti per terra, lontani gli uni dagli altri. Bisogna prenderli e raccoglierli insieme e farne un solo grande gomitolo, da cui tessere una tunica per il popolo1.

In quella vicenda le donne, stanche della guerra, avevano occupato l’Acropoli e deciso, sia pure a malincuore, uno sciopero nei confronti degli uomini, mentre le più anziane avevano sequestrato il tesoro, per evitare che le risorse fossero sperperate in guerra. Alla fine, dice la protagonista, ci dovranno chiamare lisimache, quelle che sciolgono non solo gli eserciti (questo il significato del nome Lisistrata), ma addirittura le guerre, vera e alta giustizia. Sembra anche di sentire l’eco di Antigone, in cui l’altra giustizia, quella della legge scritta nella carne e nel cuore, impone il gesto di resistenza pacifica e fermissima che si concretizza nella sepoltura dell’ucciso, al di là del divieto del tiranno. Più donne che uomini, si potrebbe dire, per le proporzioni, per il metodo, per gli ambiti: tuttavia la sfida che sarebbe proprio l’ora di vincere è quella di prendere con decisione la via di questa pace e di questa giustizia, gli uni e le altre.

Non c’è dubbio del resto che la Scrittura ebraico-cristiana abbia molte cose da suggerire in proposito, a cominciare dalla lucidità con cui conflitti, violenze e misfatti l’attraversano. A partire infatti dall’affresco dei primi undici capitoli di Genesi, tutti i conflitti sono messi in campo, dalla asimmetria nella coppia all’omicidio fraterno, dalla faida insensata di Lamech al conflitto geopolitico di Babele. Non mancano poi testi che sono stati definiti “del terrore”, come quelli che descrivono stupri e stragi, anche nei luoghi che si penserebbero più protetti, come la casa ospitale di Lot o la reggia del re David, con le sue concubine prima stuprate e poi imprigionate per sempre. Così di fronte a noi scorre la storia, senza sconti: «attà ish» (Tu sei quell’uomo: 2Sam 12,7), di noi fabula narratur, ai diversi livelli che ci competono, da chi muove la propria mano nella violenza a chi arma quella altrui o semplicemente ignora tutta la vicenda.
Per questo motivo le vie suggerite per uscire da un quadro sanguinario e vendicativo possono risultare proposte convincenti e non romanticherie impraticabili. A ognuno di questi tornanti si profilano infatti ipotesi di un’altra giustizia: dalla cacciata da Eden per iniziare una vera e propria storia, ma protetti da tuniche nuove, fino al giudizio su Caino, che però diventa protezione della sua vita. La condanna del fratricidio accoglie il sangue innocente di Abele così in profondità da escludere anche la vendetta su Caino.

La lettura cristiana ha spesso frequentato, in modo più o meno brillante, i testi di Genesi, ma ha mostrato discreta ignoranza e abbondante supponenza nei confronti dei testi legislativi della Bibbia ebraica. Questo lo sfondo da cui prende invece le mosse Gianni Barbiero in uno studio esegetico sulla rinuncia alla vendetta nella Torah, dal titolo eloquente: L’asino del nemico2. Il precetto che dà il titolo allo scritto è contenuto nel cosiddetto Codice dell’Alleanza:

Quando incontrerai il bue del nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui a scioglierlo dal carico (Es 23,4-5 // Dt 22,1-4).

Il testo, già commentato anche da Filone Alessandrino, si può vedere in filigrana, attraverso la ripetizione di alcune espressioni, anche nella parabola del Samaritano di Luca 10 e, nella sua resa deuteronomica, nelle parabole della misericordia in Luca 15. Non si tratta, anche in questo caso, di una descrizione idilliaca, ma di una via che riconosce il conflitto (il nemico) cercando all’interno di esso delle vie di uscita che non siano quelle della pietra e della fionda che ci hanno convocato all’inizio. Un discorso religioso? No, piuttosto un approccio complessivo, la cui pietas e la cui sacralità attraversano la storia di tutti. Per questo, come suggerisce Pietro Bovati3, i temi profetici della controversia bilaterale (rib) e più ampiamente il discorso biblico sul ristabilimento della giustizia possono interloquire con il piano che oggi in Occidente chiamiamo giuridico e civile, di cui parla appunto il libro che qui si introduce.
Le parole e le pratiche di cui si leggerà sono eventi complessi, che si aprono in più piani e in più punti di vista, tutti importanti, a maggior ragione se siamo in cerca di vie di giustizia e di pace: come nel Salmo 85 (84), cui allude il titolo di queste note previe, queste parole chiedono di essere aperte, svolte, comprese e rese relazioni possibili. Solo in questa dimensione esigente e promettente, insieme a verità e fedeltà, anche giustizia e pace si baceranno.

Cristina Simonelli, Prefazione, in Maria Martello, Una giustizia alta e altra. La mediazione nella nostra vita e nei tribunali, Paoline, Milano 2022, pp. 7-10.

1. Citato da M. Lanfranco, Perché la nonviolenza riguarda il femminismo, in M. Lanfranco - M.G. Di Rienzo, Donne disarmanti. Storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi, Intra Moenia, Napoli 2003, pp. 14-15 (cfr. R. Pesenti, Lisistrata l’ironica, ibid., pp. 83-88).
2. G. Barbiero, L’asino del nemico. Rinuncia alla vendetta e amore del nemico nella legislazione dell’Antico Testamento (Es 23,4-5; Dt 22,1-4; Lv 19,17-18), Pontificio Istituto Biblico, Roma 1991.
3. P. Bovati, Vie della giustizia secondo la Bibbia. Sistema giudiziario e procedure per la riconciliazione, EDB, Bologna 2014.

Leggi un estratto del libro


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