Una cosa è la fragilità di un oggetto, altra cosa è la fragilità di una persona. Ci sono fragilità diverse in ognuno di noi e i personaggi biblici, protagonisti della storia della salvezza non ne sono esenti. Essere fragili spesso non è un ostacolo, ma una chance... e Dio nel nostro essere "lucignoli fumiganti" intravede già la fiamma nuova come possibile realtà. Ottava tappa del nostro percorso biblico/artistico sulla fragilità, seguendo il libro di Alberto Curioni.
Cristo nella tempesta sul Mare di Galilea, di Rembrandt, è il dipinto scelto da Alberto Curioni, autore di Il coraggio di essere fragili (Paoline), per approfondire, attraverso l'arte, la meditazione da lui proposta nel capitolo ottavo del suo libro, La paura di perdersi, dove i protagonisti sono i discepoli, intimoriti dalla tempesta e dal sonno del Maestro.
Per gli incontri pastorali, ma anche per la fruizione privata, suggeriamo innanzitutto di proiettare o avere in altro modo sotto gli occhi il dipinto (su tablet, smartphone, notebook o stampando/proiettando l'immagine). Dopo una breve introduzione sull'autore, il periodo, il perché della commissione e il luogo dove si trovava il dipinto, consigliamo un lungo momento di silenzio per poterlo guardare e gustare con attenzione. Dopo, si possono leggere e meditare le pagine 92-103 del libro - soffermandosi prima di tutto sulla pericope evangelica - e, in seguito, sulla scheda con le note spirituali/artistiche del dipinto. Per ogni passaggio è importante prendersi il tempo necessario. Canti appropriati e/o brani musicali di sottofondo possono aiutare la preghiera e la contemplazione.
Meglio noto semplicemente come Rembrandt (1606 – 1669) viene generalmente considerato uno dei più grandi pittori della storia dell'arte europea e il più importante di quella olandese. Nato a Leida da una famiglia di dieci figli, dopo un breve apprendistato ad Amsterdam con il celebre pittore Pieter Lastman (1583 – 1633), tornò nella sua città natale per aprire un proprio studio con l'amico Jan Lievens (1607 – 1674). Entro il 1631 si trasferì nuovamente ad Amsterdam, per portare a termine con più agio le numerose commissioni di ritratti che aveva ricevuto nella città. Qui andò ad abitare nella casa del mercante d'arte Hendrick van Uylenburgh sposando poco dopo Saskia, cugina di Hendrick.
Nel 1639 Rembrandt e Saskia si trasferirono in una casa nel quartiere ebraico. Dove il pittore fece spesso posare i suoi vicini ebrei per usarli come modelli per i quadri aventi per soggetto scene dell'Antico Testamento1. Anche se le cose andavano bene dal punto di vista economico, la coppia dovette affrontare diverse difficoltà personali: il loro figlio Rumbartus morì nel 1635 solo due mesi dopo la nascita, mentre tre anni più tardi morì la figlia Cornelia. Nel 1640 anche una seconda figlia, anch'essa chiamata Cornelia, morì a neppure un mese di vita. Solo il loro quarto figlio Titus, nato nel 1641, riuscì a sopravvivere e a raggiungere l'età adulta. Saskia morì poi nel 1642 poco dopo la nascita di Titus, probabilmente a causa di una tubercolosi. I disegni dell'artista che la ritraggono malata sul letto di morte sono senz'altro tra le sue opere più toccanti2.
Sul finire degli anni Quaranta Rembrandt iniziò una relazione con Hendrickje Stoffels, giovane donna inizialmente assunta come domestica. Il pittore viveva, in questo periodo, al di sopra delle proprie possibilità, comprando opere d'arte e oggetti rari, abitudine che probabilmente lo portò, nel 1656, in bancarotta. Il suo stato di insolvenza fece sì che la maggior parte dei suoi dipinti e dei suoi oggetti di antiquariato finissero per essere messi all'asta. Fu costretto anche a vendere la propria casa e il suo torchio da stampa, trasferendosi in un'abitazione più modesta nella zona di Rozengracht. Lì Hendrickje e Titus fondarono una società, dando a Rembrandt un impiego e proteggendolo dai creditori. Nel 1661 fu ingaggiato per completare le decorazioni del palazzo comunale di nuova costruzione, ma morì nel 1669 prima di completare il lavoro.
Sia nella pittura che nella stampa egli esibì un'ampia conoscenza dell'iconografia classica che modellò per adattarla alle proprie esigenze. Così, la rappresentazione di scene bibliche era frutto dello studio dei relativi testi, dell'influenza delle tematiche classiche e dell'osservazione della popolazione ebrea di Amsterdam. Per la sua capacità di comprensione della condizione umana, inoltre, fu definito «uno dei grandi profeti della civiltà»3.
[Rembrandt van Rijn (1606-1669), Cristo nella tempesta sul mare di Galilea (1633), olio su tela, ubicazione sconosciuta]
In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che moriamo?». Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».
La resa dettagliata della scena, le espressioni varie delle figure, la pennellata relativamente lucida e la colorazione brillante dell'opera sono caratteristiche tipiche del primo stile di Rembrandt che i critici del XVIII secolo come Arnold Houbraken (1660 – 1719) preferivano spesso alla sua maniera più tarda, più ampia e meno descrittiva.
L'episodio biblico contrappone la natura alla fragilità umana, sia fisica che spirituale. I discepoli presi dal panico lottano contro una tempesta improvvisa e cercano di riprendere il controllo della loro barca da pesca mentre un'onda enorme si infrange sulla prua, strappa la vela e spinge l'imbarcazione pericolosamente vicino alle rocce in primo piano a sinistra. Uno dei discepoli, soggiogato dalla violenza del mare, vomita fuori bordo. In mezzo a questo caos, solamente Cristo, a destra, rimane calmo, quasi come fosse lui l'occhio della tempesta. Risvegliato dagli appelli disperati dei discepoli si alza per calmare la furia del vento e delle onde e rimprovera i discepoli dicendo: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?».
La furia della tempesta è sia causa che metafora del terrore che colpisce i discepoli, amplificando il loro sconvolgimento emotivo e quindi l'impatto drammatico dell'immagine4.
Il dipinto mostra la capacità del giovane Rembrandt di rappresentare non solo una storia sacra, ma anche di catturare l'attenzione dello spettatore calandolo in un vero e proprio dramma pittorico in fieri. Per ottenere un effetto di maggiore immediatezza, l'autore ha rappresentato l'evento come una scena contemporanea in cui una barca da pesca viene sorpresa dalla tempesta.
Lo spettacolo di oscurità e luce formato dal mare in burrasca e dal cielo che si sta rapidamente annerendo attrae subito l'attenzione dello spettatore. Le reazioni di terrore dei discepoli, tutte minuziosamente descritte, generano poi un forte coinvolgimento empatico. Solo una figura, probabilmente un autoritratto dello stesso Rembrandt, guarda direttamente verso l'osservatore rendendolo, se possibile, ancora più partecipe dell'azione drammatica.
1. L. Schneider Adams, Art Across Time. vol. II, McGraw-Hill College, New York, 1999, p. 660.
2. Rembrandt (ad vocem), Wikipedia, l'Enciclopedia libera.
3. Ibidem.
4. Rembrandt Van Rijn (Leyden, 1606 - 1669, Amsterdam) Christ in the storm on the Sea of Galilee, 1633 (scheda), Isabella Stewart Gardner Museum website
Tra i più grandi capolavori di Rembrandt, Cristo nella Tempesta sul Mare di Galilea, è l'unico paesaggio marino da lui realizzato. Il dipinto, databile al 1633, venne eseguito poco dopo il trasferimento dell'autore da Leida, sua città natale, ad Amsterdam, dove si affermò presto come il più importante autore di ritratti e soggetti storici della città.
Il dipinto era custodito all'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston fino al suo furto, avvenuto il 18 marzo 1990.
Storie di personaggi dall'Antico e dal Nuovo Testamento, visti nella loro fragilità creaturale o morale, e la storia meravigliosa della relazione che Dio ha intessuto con loro, prototipo della relazione che Dio vuole stabilire oggi con noi.