Oltre il principio, una costellazione di differenze

Quando mi è arrivato l’invito di andare a Casa Santa Marta per partecipare a un incontro con papa Francesco e il Consiglio di Cardinali sul “principio mariano-petrino”, ho provato da un lato sorpresa e dall’altro resistenza.

Ai miei primi interlocutori – Linda Pocher e Luca Castiglioni – ho immediatamente espresso la perplessità: perché dare attenzione ed enfasi a un concetto rispetto al quale già da molto tempo tante donne hanno reagito con forti critiche sul piano biblico, storico ed ecclesiologico, e che anche sul piano dell’esperienza finisce per complicare le relazioni tra i sessi nella Chiesa? Oltretutto, nemmeno Balthasar si sarebbe riconosciuto in una formulazione così schematica e riduttiva della sua visione, che non si presta a essere ripresa in chiave rigidamente ministeriale. Al teologo svizzero interessava infatti rileggere gli stili ecclesiali nella loro pluralità e sinfonia, con una sensibilità mistica che scoraggia qualunque paradigma chiaro e distinto.
Comunque sia, sono convinta – e con me molte donne e anche uomini – che questo principio non regga la complessità del presente e che non potrà traghettare la Chiesa verso il domani, in quanto compromette una buona alleanza tra noi, affatica la tessitura di legami di giustizia e rischia di funzionare come fragile motivo per ribadire la riserva maschile alla ministerialità ordinata o per aggravare l’esclusione delle donne dai processi decisionali delle comunità.
La questione dei ministeri non è ora in agenda, ma è ormai nell’aria e se ne avverte la pressione: come un fantasma si aggira nelle nostre stanze, perturba il ragionamento e inibisce la franchezza tra noi. Seppure lasciato a margine, il tema in ogni caso non sarebbe da discutere con i principi, ma in ascolto della realtà storica – inevitabilmente attraversata da dinamiche di autorità e potere – e in ascolto delle voci esperte di ecclesiologia e di storia della ministerialità, che oggi nella Chiesa certamente non mancano.

Sofferenze e insofferenze: effetti (in)desiderati del principio mariano-petrino

Questo è dunque per me un momento importante di cui avverto il privilegio ma soprattutto la responsabilità. Lo vivo come un’inaspettata occasione per portare a parola e far risuonare qui e ora le sofferenze, ma soprattutto le insofferenze, che proviamo noi donne teologhe impegnate in una ricerca di genere, quando incontriamo il principio marianopetrino.
Ciò che conta, nella vita come nella Chiesa, sono le relazioni e i luoghi di scambio in cui queste possono essere vere, reali e oneste, per cui il mio desiderio è quello di creare un passaggio tra noi affinché, come uomini che hanno un ruolo ministeriale ordinato, possiate accedere a quel mondo femminile che si trova a disagio con questo principio di Balthasar, un mondo femminile tanto esaltato quanto incompreso, misconosciuto, inascoltato, sottovalutato, deriso e demonizzato.
Sofferenze e insofferenze si trovano qui insieme come indicatori di uno squilibrio che in questa Chiesa grida con voci di donna, rivelando ferite e conflitti aperti. Lo esprimo con fiducia e senza imbarazzo, ricordando due circostanze in cui lo stesso papa Francesco aprì lo spazio per una narrazione libera.

Voce di donna, voce di Chiesa

Nel 2019, quando al termine di un incontro dedicato alla protezione dei bambini e delle bambine nella Chiesa, Francesco disse: «Invitare a parlare una donna sulle ferite della Chiesa è invitare la Chiesa a parlare su sé stessa, sulle ferite che ha». Lo spazio è aperto, ma occorre entrarci attraverso un’esperienza incarnata nella verità di sé e attraverso una teologia consapevole degli squilibri di genere. Solo così è possibile andare oltre il piano del lamento e spogliarsi di ogni vittimismo che esautora il soggetto e fa implodere il senso. Nominare le ferite, allora, diventa un
gesto di trasformazione e di trasgressione del male: il lamento consapevole denuncia ciò che non funziona e osa un pensiero differente, una speranza differente, un sogno differente. Le sofferenze raccontate, dunque, non implorano nulla ma avviano un orizzonte nuovo nel quale ospitare il desiderio di condivisione, una critica dell’ingiustizia e la profezia fedele a un mondo di differenze già raggiunto dalla grazia.

L’apertura di conflitti fecondi

La seconda circostanza di apertura riguarda l’urgenza di dare voce alle insofferenze, qui intese come energia per aprire un conflitto necessario e fecondo. Come si legge in Evangelii gaudium 227, la discussione conflittuale è a suo modo una forma di investimento nelle relazioni, un modo per scommettere sulla forza e sulla tenuta dei nostri legami. Quando rimuoviamo o esasperiamo un conflitto, infatti, spesso è perché l’altra persona non ci interessa davvero. Scrive papa Francesco: «Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per potere continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte»; invece dovremmo accettarlo, sopportarlo e «trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo». Questo passaggio richiede di smarcarsi dalla lingua dello schieramento – una lingua inventata da un potere che disegna campi di battaglia fittizi nell’intento di mantenersi – per assumere una lingua plurale, ospitale, creativa e impossibile da addomesticare sul già-detto. Ora occorre altro. C’è da aprire uno di quei conflitti che non si giocano frontalmente, ma che nascono dal desiderio di portare il discorso a un altro livello, un livello in cui gli argomenti non possono essere usati per escludere o cancellare alcuna vita.

Lucia Vantini, in «Smaschilizzare la Chiesa»?, Paoline, Milano 2024, pp. 13-17.

Lucia Vantini - È cultrice della materia in filosofia teoretica (università di Verona). La sua ricerca incrocia filosofia della religione e teologie contemporanee, con una particolare attenzione al pensiero della differenza sessuale e di genere approfonditi rispettivamente nella comunità filosofica Diotima e nel Coordinamento delle Teologhe Italiane (di cui è presidente dal 2021). Ha conseguito il Dottorato in Filosofia nel 2013 (Verona) e il Dottorato in Teologia nel 2017 (Facoltà Teologica di Padova). Ha ottenuto l’abilitazione di II fascia in Filosofia morale e in Filosofia teoretica. Tiene corsi di Filosofia della religione e di Teologia fondamentale prevalentemente presso l’ISSR San Pietro martire di Verona.


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