Settima parola della vocazione: "missione". Come ci ricorda Papa Francesco: «Chi si è lasciato attrarre dalla voce di Dio e si è messo alla sequela di Gesù scopre ben presto, dentro di sé, l'insopprimibile desiderio di portare la Buona Notizia ai fratelli, attraverso l'evangelizzazione e il servizio nella carità». Allora, ancora una volta, mettiamoci in cammino!
Seguire Cristo cosa significa? Scopriamolo insieme.
Certamente quando pensiamo alla missione, abbiamo in mente i verbi "mandare", "inviare", soprattutto con Dio protagonista dell'azione e i chiamati come "oggetti" della stessa. Ma le storie di missione della Bibbia hanno un denominatore comune: sembra sempre che Dio sia uno sprovveduto che vuole complicarsi la vita. Sceglie infatti persone senza raccomandazione alcuna, senza doti... ai nostri occhi decisamente incapaci per il compito loro affidato. Qualche esempio? Pensiamo a Mosè che era balbuziente (e si servirà del fratello Aronne per poter parlare, in Es 4,10-14), al profeta Geremia, giovane, che "se la faceva sotto dalla paura", e a Giona che scappa addirittura per non rispondere all'incarico che ha ricevuto. Come mai? Per Dio non è importante solo il successo della missione, ma anche l'effetto che essa ha sul chiamato e in particolare sul suo cuore.
Nel Nuovo Testamento incontriamo tanti tipi di missione, soprattutto nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli. Soffermiamoci su quella dei discepoli che troviamo nei Sinottici (Vangelo di Matteo, Marco e Luca) e cogliamone le caratteristiche. Sono le stesse di Gesù: l'annuncio del Regno e la guarigione (Mt 10,7.9) e i discepoli agiscono in nome di chi li manda, sono come Lui stesso (Chi accoglie me, accoglie voi...), sempre sotto la guida dello Spirito Santo. Anche qui ci potremmo chiedere: perché sono stati scelti coloro che l'hanno tradito, abbandonato? Ma la logica di Dio non è la nostra. Quale attrezzatura serve per la missione? «Non prendete nulla per il viaggio...» (Lc 10,1-9). Non sono infatti importanti le rassicurazioni che ci derivano dai beni materiali, ma la fiducia in Dio.
Nonostante il potere e la forza dell'informazione, non sappiamo quasi niente del villaggio globale. Le informazioni che ci giungono spesso sono pilotate, non sempre rispettose della realtà e della diversità. Proprio per questo è indispensabile essere attenti fruitori e consapevoli comunicatori, sapendo che la presenza in Internet è uno dei segni dei tempi da accogliere e utilizzare come dono di Dio, nella certezza che la comunicazione è missione e viceversa.
Dinanzi alle domande che emergono dal cuore dell'uomo e alle sfide che si levano dalla realtà, possiamo sentirci impari, a volte smarriti e mancare di speranza perché la missione potrebbe apparirci come un'utopia, come qualcosa che non ci appartiene. Come in passato, si può incorrere nella corsa al potere, al successo, al proselitismo, piuttosto che all'inculturazione e alla vicinanza. La missione cristiana significa, come dice il Vangelo, essere sale e luce del mondo, testimoni là dove ci si trova. Papa Francesco ci invita spesso ad andare verso tutti, senza esclusioni, privilegiando gli ultimi, ad "uscire" verso le periferie esistenziali, ma sempre nello spirito del lievito che fermenta la massa e nel servizio disinteressato e gratuito. Missione non è solo andare in paesi lontani, oggi anche le nostre città sono luoghi in cui far giungere l'annuncio del Vangelo.
"Missione" è un ritrovarsi: innanzitutto con se stessi, oltre che con quei compagni di vita abituati a vedere tutti i giorni, ma che la frenesia della quotidianità non ci permette di conoscere davvero. "Missione" sono le strade, le piazze, le scuole, le parrocchie, gli ambienti sportivi che frequentiamo ogni giorno e che il Signore ci ri-consegna come luoghi di ascolto e di testimonianza dell'incontro con Lui. Siamo pronti a partire "armati" del solo Vangelo e a portare la buona notizia? Siamo pronti a vivere nella disponibilità allo Spirito e a lasciare che trasformi le nostre vite e quelle di chi incontreremo? Siamo capaci di andare controcorrente e di condividere la fede, di trasmettere la gioia di aver incontrato Cristo ai nostri coetanei, di sentire questo come una forza irresistibile come capitava a San Paolo (Guai a me se non evangelizzo)?
Sant'Alberto Hurtado diceva che «essere apostoli non significa portare un distintivo all'occhiello della giacca; non significa parlare della verità, ma viverla, incarnarsi in essa, trasformarsi in Cristo. Essere apostolo non consiste nel portare una torcia in mano, nel possedere la luce, ma nell'essere la luce [...]. Il Vangelo, [...] più che una lezione è un esempio. Il messaggio trasformato in vita vissuta» (Christus Vivit, 175).
E io a che punto mi trovo?
La missione non ha confini, è per tutti, credenti e non credenti, anche per chi ci sembra più lontano o indifferente. Tante persone, santi e non, hanno dato la vita per l'annuncio del Vangelo.
«Noi siamo una missione sulla terra e per questo ci troviamo in questo mondo» (Papa Francesco). La nostra vita raggiunge la sua pienezza quando diventa dono per gli altri, si fa offerta, dà il meglio di sé.
Un esempio di esistenza vissuta nella radicalità del Vangelo è quella di una laica missionaria di Forlì, Annalena Tonelli.
Così racconta lei stessa: «Scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati, che ero bambina e così sono stata e confido di continuare fino alla fine della mia vita. Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null'altro mi interessava così fortemente: Lui e i poveri in Lui. Per Lui feci una scelta di povertà radicale». Molte le opere da lei attivate in Kenya e in Somalia. A Borama venne uccisa la sera del 5 ottobre 2003, dopo trentacinque anni vissuti a testimoniare il Vangelo in terra musulmana.
Se vuoi approfondire la sua vita, puoi iniziare con il testo "Io sono nessuno". Buona vita!