Le tecnologie digitali hanno prodotto un cambiamento antropologico epocale che coinvolge non solo il mondo giovanile ma la nostra condizione umana, annullando il dualismo tra essere online o offline.
Ormai è un classico: in metropolitana, in autobus, in treno, in fila, al bar... dovunque lo smartphone cattura i nostri sguardi secondo quei rituali che i sociologi hanno ribattezzato "look down generation", la generazione che cammina guardando in basso.
Recentemente a Bolzano, nelle zone pedonali, sui pali della luce all'altezza degli occhi sono stati installati degli airbag color fucsia in cui è riprodotta la sagoma stilizzata di un omino che cammina con il capo chinato sul cellulare. Obiettivo: sensibilizzare l'opinione pubblica all'utilizzo consapevole e intelligente del dispositivo digitale.
Dei dispositivi digitali non ne possiamo più fare a meno per informarci, conoscere e comunicare. Con i social, le chat, i video, la pubblicazione di immagini e brevi commenti esprimiamo all'istante le nostre emozioni. Se capita di dimenticare il cellulare sembra mancarci qualcosa di fondamentale perché ormai è parte integrante del nostro corpo. E chissà se ci rendiamo conto di quante volte mettiamo le mani in tasca per cercare il telefonino e leggere le notifiche che ci sono state inviate. Gli esperti dicono che «i millennials controllano i loro smartphone oltre 150 volte al giorno; una ogni dieci minuti». Ma attenzione: a mio avviso il punto non è l'uso costante e continuo del telefonino ma: per che cosa viene usato? Qual è la qualità dei rapporti che instauriamo nell'ambiente mediatico?
Come afferma papa Francesco nel messaggio per la 53a Giornata delle Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che sarà celebrata domenica 2 giugno, «la rete è un'occasione per promuovere l'incontro con gli altri, ma può anche potenziare il nostro autoisolamento, come una ragnatela capace di intrappolare... fino al fenomeno pericoloso dei giovani "eremiti sociali" che rischiano di estraniarsi completamente dalla società».
Tutti cerchiamo qualcosa che riempia di significato la nostra vita. È indubbio che l'avvento dei linguaggi digitali ha ampliato la capacità di creare nuove relazioni ma basta essere connessi per avere qualcuno nella propria vita? Per superare la solitudine? Non c'è il rischio di isolarsi dalla società, di costruire legami superficiali?
«Il telefonino è un grande aiuto, è un grande progresso, - ha affermato ancora il Papa agli studenti di un noto Liceo romano - ma quando tu diventi schiavo del telefonino, perdi la tua libertà. Il telefonino è per comunicare, per la comunicazione: è tanto bello comunicare tra noi. Ma state attenti, che c'è il pericolo che, quando il telefonino è droga, la comunicazione si riduce a semplici "contatti". Ma la vita non è per "contattarsi", è per comunicare!».
Senza dubbio nell'attività digitale ci sono opportunità e rischi ma serve una nuova prospettiva per leggere e interpretare il cambiamento generato dal digitale. È necessario focalizzare l'attenzione sulla nostra identità personale. Ciò che conta è anzitutto chi siamo e non come usiamo i dispositivi elettronici. In rete incontriamo persone, storie, esperienze e lì si gioca la verità di noi stessi. Ricordiamoci che il digitale è lo specchio della nostra persona, del nostro universo interiore, spazio dove si gioca la responsabilità e la libertà delle nostre scelte.