Quando parliamo di comunicazione intendiamo il comportamento che ci consente di "mettere in comune" noi stessi, i nostri pensieri, le emozioni e i valori, con gli altri. Tutti abbiamo il desiderio di essere compresi, ma la nostra relazione risente di come viene percepito quello che diciamo e di come anche noi filtriamo le informazioni presenti nel mondo che ci circonda.
P come percezione, ossia «l'atto del prendere coscienza di una realtà che si considera esterna a noi». Non si tratta di una precisa fotografia della realtà, ma la creazione attiva, elaborata da noi stessi, secondo stimoli che provengono dall'esterno, da una varietà di sensazioni, ricordi, abitudini ed esperienze vissute che, senza che ce ne accorgiamo, influenzano il nostro modo di vedere le cose e le persone. Attraverso la percezione siamo consapevoli che esistono altre realtà rispetto a noi stessi, che noi rappresentiamo, però, in modo soggettivo. Infatti ognuno di noi conosce il mondo filtrandolo attraverso i propri sensi, le esperienze personali, le proprie credenze e valori. Tutto ciò costituisce la nostra mappa mentale che nel tempo abbiamo costruito per orientarci nel mondo. Secondo Stefano Centonze, formatore e scrittore, nella comunicazione interpersonale è necessario considerare e superare 10 filtri per relazionarci agli altri efficacemente.
Occorre fare attenzione a:
La realtà oggettiva esiste, è là, ma si valuta in quanto è percepita dall'altro, e come tale condizionata dai fattori personali, sociali e culturali di chi percepisce. L'immagine di una foresta, ad esempio, per il cacciatore è il luogo da dove ricava il sostengo per la sua vita; per un poeta è il motivo della sua poesia; per un altro, la foresta è una realtà che provoca paura. Persone, fatti, parole, vengono dunque filtrati dai nostri schemi, inseriti nelle nostre caselle, passati al setaccio di una griglia di pregiudizi spesso inconsapevoli. Il nostro modo di percepire ci consente di non vedere negli altri quei comportamenti che si allontanano dall'immagine che noi abbiamo di loro. Ciò è alla base del pregiudizio che provoca una selezione nelle informazioni cercando nelle comunicazioni quelle informazioni che confermano le nostre convinzioni.
Esistono degli specifici fattori che influenzano la percezione delle persone con cui ci rapportiamo e viviamo. Se abbiamo un concetto negativo e pessimista di noi stessi, ci percepiremo in modo negativo e avremo la tendenza a vedere e percepire gli altri con gli stessi "occhiali scuri" con cui guardiamo noi stessi. Sicuramente ciò costituirà un blocco nella comunicazione e nella relazione con gli altri. Tendiamo a percepire gli altri, infatti, come percepiamo noi stessi. Inoltre il nostro comportamento con gli altri, passa attraverso l'idea che ci siamo fatti di loro. Per esempio se pensiamo che Marco è una persona aggressiva, cercheremo di comunicare con lui in forma difensiva; saremo attenti a non provocare la sua aggressività, parleremo in modo calmo, dicendo sempre sì alle sue richieste. Quindi il nostro modo di percepire gli altri condiziona il nostro modo di rapportarci con loro.
Ma attenzione perché il nostro modo di percepire gli altri condiziona il loro modo di relazionarsi con noi. Con frequenza, inconsapevolmente, provochiamo negli altri quello che in loro condanniamo. L'altro può essere condizionato ad agire secondo l'immagine ricevuta ossia, il concetto che abbiamo dell'altro provoca in lui l'immagine corrispondente. Se inviamo alla persona il messaggio, verbale o non verbale: "Tu non sei capace", questo crea un'influenza negativa su di lui e la persona potrebbe percepirsi incapace o inadatta.
Un altro esempio. Supponiamo che per una qualsiasi ragione pensiamo che Luisa sia una persona simpatica. Quando la incontriamo, ci comporteremo con lei di conseguenza: saremo affabili, gentili e disponibili. Questo faciliterà Luisa a risponderci con la stessa modalità. Finito l'incontro ci diremo: "Avevamo proprio ragione di dire che Luisa è simpatica". Se invece ci aspettiamo di incontrare un tipo antipatico, appena lo incontriamo saremo infastiditi. Sarà poi probabile che anche lui reagirà di conseguenza, ottenendo così la conferma della nostra valutazione iniziale. In entrambi i casi è successo questo: abbiamo incontrato il tipo che ci aspettavamo di incontrare. Cioè il nostro concetto dell'altro provoca in lui un comportamento corrispondente; l'immagine che noi abbiamo dell'altro influenza il suo comportamento e la nostra relazione.
Ma è possibile avere una percezione realista dell'altro?
Abbiamo una percezione realista dell'altro quando siamo disposti a rivedere i nostri schemi mentali in base alle nuove informazioni che riceviamo anche da lui stesso, conoscendolo meglio, cercando di costruire un clima di fiducia reciproca. I nostri schemi mentali devono essere flessibili, aperti, soggetti alla verifica, al cambio di opinione sulla persona. Questa apertura stimolerà l'altro a cambiare. Quindi: «Occhio a quello che percepiscono le persone quando comunicate con loro!».
C'erano una volta sette ciechi, che non sapevano come fosse fatto un elefante. Un giorno, qualcuno disse loro: ecco qui un elefante. Il primo, allora, toccò una zampa e disse: "L'elefante è come un albero". Il secondo, toccando la proboscide, disse: "L'elefante è come un serpente". Il terzo, tenendo in mano la coda, disse: "L'elefante è come un ramoscello". E così fecero gli altri quattro, toccando sempre parti diverse dell'animale. I sette ciechi cominciarono allora a litigare, essendo ognuno di essi convinto di avere ragione. Nessuno seppe com'era fatto un elefante.
Parabola indiana