La fragilità dei discepoli di Emmaus

«E lo riconobbero allo spezzare del pane» /15

Una cosa è la fragilità di un oggetto, altra cosa è la fragilità di una persona. Ci sono fragilità diverse in ognuno di noi e i personaggi biblici, protagonisti della storia della salvezza non ne sono esenti. Essere fragili spesso non è un ostacolo, ma una chance... e Dio nel nostro essere "lucignoli fumiganti" intravede già la fiamma nuova come possibile realtà. Quindicesima tappa del nostro percorso biblico/artistico sulla fragilità, seguendo il libro di Alberto Curioni.

La cena di Emmaus, di Caravaggio (Michelangelo Merisi), è il dipinto scelto da Alberto Curioni, autore di Il coraggio di essere fragili (Paoline), per approfondire, attraverso l'arte, la meditazione da lui proposta nel capitolo quindicesimo del suo libro, «E lo riconobbero allo spezzare del pane», dove i protagonisti sono i due discepoli di Gesù che delusi da quanto successo a Gerusalemme dopo la morte del Maestro sono in viaggio verso Emmaus e il misterioso pellegrino che si affianca loro nel cammino, invitato poi a fermarsi a cena al calar della sera.

Per gli incontri pastorali, ma anche per la fruizione privata, suggeriamo innanzitutto di proiettare o avere in altro modo sotto gli occhi il dipinto (su tablet, smartphone, notebook o stampando/proiettando l'immagine). Dopo una breve introduzione sull'autore, il periodo, il perché della commissione e il luogo dove si trovava il dipinto, consigliamo un lungo momento di silenzio per poterlo guardare e gustare con attenzione. Dopo, si possono leggere e meditare le pagine 174-184 del libro - soffermandosi prima di tutto sulla pericope evangelica - e, in seguito, sulla scheda con le note spirituali/artistiche del dipinto. Per ogni passaggio è importante prendersi il tempo necessario. Canti appropriati e/o brani musicali di sottofondo possono aiutare la preghiera e la contemplazione.

[Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610), Cena di Emmaus (1601), olio e tempera su tela, Londra, National Gallery]

Dal Vangelo di Luca (24, 13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».

 

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L'autore e il dipinto

Il dipinto, ritrae il culmine dell'episodio tratto dal Vangelo di Luca in cui due discepoli di Cristo, Cleopa (qui ritratto sulla sinistra) e probabilmente Giacomo Maggiore (sulla destra), riconoscono nel viandante incontrato sulla strada per Emmaus e invitato successivamente a cena, il Cristo Risorto. Il riconoscimento avviene grazie al gesto di benedizione del panee del vino che il viandante compie e che allude al sacramento dell'Eucarestia, la cui celebrazione viene prefigurata da questo episodio Evangelico. Hibbard1 ricorda, a tal proposito, come al tempo di Caravaggio esistesse un testo molto diffuso e consultato, la Evangelicae historia et imagines di Hyeronimus Nadal del 1593, in cui era precisato come l'episodio della cena in Emmaus fosse prefigurazione del sacrificio celebrato dal sacerdote durante la messa e a cui è quindi ipotizzabile che Caravaggio abbia fatto riferimento per il proprio dipinto.

Cristo viene qui rappresentato nelle sembianze del Buon Pastore, ovvero come un giovane imberbe e dall'aspetto androgino, simbolo della vita eterna e dell'armonia, frutto dell'unione degli opposti. È possibile leggere in questa scelta iconografica del Caravaggio la volontà di rappresentare un Cristo riconoscibile non tanto dalle sue fattezze quanto dai suoi gesti e dallo svolgersi della vicenda2.

I discepoli mostrano poi tutto il loro stupore: Cleopa per la sorpresa sta per balzare in piedi mostrando in primo piano il gomito piegato mentre il secondo discepolo, che indossa la conchiglia del pellegrino, distende le braccia in un gesto che riprende simbolicamente la figura della croce; le braccia distese del discepolo misurano in tralice lo spazio a disposizione, oltre ad unire la zona d'ombra del dipinto con quella dove cade la luce. La sua mano destra, sproporzionata rispetto al corpo, serve a guidare l'occhio dello spettatore verso la figura di Cristo il cui braccio destro, anch'esso realizzato in scorcio, contribuisce ad aumentare la percezione della profondità spaziale del dipinto. Il quarto personaggio, l'oste, non essendo in grado di cogliere il profondo significato della scena di cui è testimone, appare qui colto da un inconsapevole meraviglia. Con la raffigurazione di Cleopa girato di spalle, Caravaggio cerca inoltre di coinvolgere maggiormente lo spettatore, il quale è idealmente invitato a sedersi al tavolo prendendo posto di fronte al Cristo.

L'utilizzo del colore e della luce sembra sapientemente mirato a far sì che l'occhio dello spettatore si sposti su tutti i punti salienti della tela, mentre la predominanza dei colori rosso, verde e bianco, può essere letta come un rimando alle Tre Virtù Teologali: Fede, Speranza e Carità. La continua sperimentazione, compiuta da Caravaggio sin dai suoi primi anni giovanili, nella resa della rifrazione della luce, raggiunge poi in questo dipinto il suo apice: si noti infatti lo straordinario realismo con cui il riverbero della luce nell'ampolla d'acqua e nel bicchiere di vino, presenti nella parte sinistra del tavolo, interrompe l'ombra proiettata dai due oggetti sul tavolo stesso3. Lo studio sull'uso della luce per creare delle immagini si era sviluppato in area nordica ma merito di Caravaggio fu quello di portare questa ricerca dall'ambito miniaturistico della pittura fiamminga e olandese del XV secolo alla scala umana, operando un ingrandimento filtrato dalla pittura Rinascimentale italiana4.

Particolare risalto viene dato anche al brano di natura morta presente sulla tavola. Oltre alla brocca d'acqua e al bicchiere di vino bianco già menzionati in precedenza, viene infatti posta in primo piano, in bilico e quasi sul punto di cadere, una canestra di frutta che richiama il dipinto di soggetto analogo realizzato dal Merisi tra il 1594 e il 1598, oggi conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano. La canestra contiene diversi frutti, magistralmente dipinti con le loro imperfezioni in un linguaggio a metà tra realismo e simbolismo. In particolare spicca la mela affetta da ticchiolatura, una malattia di origine fungina di cui si crede che questo dipinto sia una delle prime segnalazioni. Il protendersi in avanti della canestra si configura poi come un'ulteriore invasione del campo visivo dello spettatore avente il fine di accentuare il senso di tridimensionalità dell'opera.

Ferdinando Bologna5 sottolinea poi come nella pittura caravaggesca fosse fondamentale un bilanciamento tra le cose e le persone in netta controtendenza rispetto alle posizioni controriformiste del Paleotti e dei due Borromeo i quali sostenevano invece che il tema principale andasse distinto dagli elementi secondari tanto nei dipinti di carattere sacro, che in quelli profani. L'intenzione di Caravaggio era dunque quella di prendere tutta la natura, sia che essa si manifestasse con fiori e frutti sia in figure e, a tal proposito, risultano essere provocatorie dimostrazioni della filosofia caravaggesca anche il Giovane con canestro di frutta oggi conservato presso la Galleria Borghese e il Bacco della Galleria degli Uffizi6.

Particolare dalla forte carica allusiva risulta poi essere l'ombra a coda di pesce che compare sotto la cesta di frutta. Si tratta di un rimando allegorico a Cristo, infatti in greco ikthus significa pesce, ma è anche il tradizionale acronimo paleocristiano per Iesus Kristos theon Ulios Soter, ovvero Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore7.

1. H. Hibbard, Caravaggio, Londra, 1983, p. 80 ripreso da M. Marini, ibidem, p. 458, n. 47.
2. Ibidem, p. 75.
3. F. Bologna, L'incredulità di Caravaggio, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, pp. 181-182.
4. Ibidem.
5. Ibidem, p. 133
6. Ibidem, p. 292
7. S. Levi della Torre, Intrecci, somiglianze, conflitti, Milano, Feltrinelli, 2003, p.83.

Per approfondire

La cena di Emmaus di Londra è contemporanea al San Giovanni Battista, ed è stata riconosciuta come il dipinto commissionato da Ciriaco Mattei nel 1601 e pagato 150 scudi il 7 gennaio 16021. Dal momento che non compare nell'Inventario dei beni Mattei dell'erede di Ciriaco, Giovanni Battista (1616), Maurizio Marini ipotizzò che il dipinto fosse stato ceduto al cardinale Scipione Borghese dopo il 1605, anno in cui Scipione giunse a Roma nominato cardinale dallo zio papa Paolo V2. A confermare tale ipotesi vi sarebbe infatti la presenza dell'opera nell'Inventario Borghese del 1693 con una cornice intagliata e dorata3.

Nel 1801 il marchese Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte, vendette poi il dipinto ad un antiquario di Parigi, monsieur Durand. Successivamente l'opera entrò a far parte della raccolta di lord Georges Venon che ne fece dono alla National Gallery di Londra nel 18394.

1. Per il documento che accerta il pagamento a Ciriaco Mattei si veda M. Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, Newton Compton, 2005, p. 456. n.47. Il documento originario è poi pubblicato da Francesca Cappelletti e Laura Testa, 7 gennaio 1602, Archivio Mattei di Giove, E per me pagate a Michelangelo da Caravaggio, in Art e Dossier, 1990, n. 42, pp.4-7.
2. M. Marini, ibidem, p. 457, n. 47.
3. Ibidem.
4. Ibidem, p. 456.

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