La fine del mondo non è la fine

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2021

Ha senso impegnarsi se tutto passa e finisce?

«Dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte». La tribolazione a cui si riferisce Gesù è la distruzione di Gerusalemme e del tempio (70 d.C.), come si evince dall'inizio del capitolo dal quale è preso il brano che la liturgia ci propone. In esso infatti si legge che, mentre uscivano dal tempio, a un discepolo che lo aveva invitato ad ammirarne la magnificenza: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!", Gesù aveva risposto: "Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta". Poco dopo – giusto il tempo di salire sul Monte degli Ulivi – gli apostoli che avevano sentito la drammatica risposta, chiedono a Gesù che stava guardando il tempio da lassù: «Quando accadranno questa cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?» (Mc 13,1-3).
Gesù prende spunto da quella tribolazione (la storia racconta che fu davvero terribile) per parlare della fine della realtà terrena, quando: «vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo». Il collegamento tra la fine del tempio di Gerusalemme e quella del mondo non è esagerato, se si considera che per gli ebrei la Città Santa e il suo Tempio erano "tutto", erano il mondo. Se vedessimo distruggere la basilica di San Pietro anche noi faremmo pensieri simili.

Ai discepoli delle parole di Gesù interessa il "quando avverrà" e il "segno" per affrontare l'evento nel modo meno drammatico possibile. È lo stesso nostro interesse: tutti i discorsi, le profezie, le fake news sulla fine del mondo finiscono sempre con la domanda: "quando?". Gesù delude decisamente la loro e la nostra curiosità, chiudendo il suo intervento con una affermazione che lascia addirittura perplessi: «Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre». Non lo sa nemmeno lui come uomo, figuriamoci se lo sanno gli imbrogliapopolo o i testimoni di Geova.

A Gesù sta a cuore che ci facciamo carico del "durante", cioè del tempo tra l'oggi e la fine. Questo spazio, infatti, può essere vissuto o con sciocca inconsapevolezza, come se questo mondo fosse eterno – è quello che è accaduto con lo sfruttamento dissennato delle risorse della terra con le conseguenze delle quali stiamo finalmente prendendo atto – ; o con la triste sensazione che la provvisorietà e la caducità tolgano valore al nostro operare: "Che senso ha darsi da fare se tutto finisce?".

Gesù ci invita a vivere "il durante" con operosa serenità, perché esso non conduce verso il nulla, ma all'incontro con il suo ritorno «con grande potenza e gloria» per entrare con lui nella pienezza di ciò che la vita terrena permette appena di assaggiare.

È bellissimo, confortante e incoraggiante il suggerimento di Gesù. La fine della realtà terrena a noi fa pensare alle foglie che cadono, portando verso il gelo dell'inverno: è la mesta nostalgia dei poeti: «Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie» (Ungaretti). Gesù invece consiglia: «dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina». Non le foglie che cadono invecchiate ma le nuove che spuntano, promettendo l'estate: la stagione dei frutti maturi. È questa stagione che ci aspetta, se non la ignoriamo e non la aspettiamo a braccia conserte, ma camminiamo verso di essa operosamente.


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