A Gesù non bastano le parole

VI Domenica di Pasqua - Anno A - 2020

Il comandamento dell'amore non è una questione di simpatia e sentimentalismo.

Gesù non ci gira intorno. Come sempre è preciso e conciso: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti», e caso mai non si fosse capito bene che le sue parole non valevano soltanto per i Dodici ma per tutti, aggiunge: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama». Poco prima – sempre durante il commovente addio ai suoi amici dopo l'Ultima Cena, prima di recarsi nell'Orto degli Ulivi - aveva dato una consegna: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34), appena un po' dopo, quasi per essere sicuro di essere stato capito, ripeterà: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12).
Va bene, il comandamento di Gesù è l'amore. Chi non lo sa? Lo ripetiamo da tanto tempo che rischia di essere diventato una bella frase, svuotata di contenuto e di conseguenze pratiche. Ridurla così sarebbe un errore gravissimo, perché il comandamento di Gesù è oggi più che mai innovativo, controcorrente, e parallelamente impegnativo e fastidioso, per un abbinamento di parole che per l'attuale cultura dominante è sbagliato e improponibile: "amore" e "comandamento". Gesù afferma: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» ma che amore è se viene comandato? Nelle imposizioni non ci può essere amore, ma soltanto sottomissione e sacrificio, perché l'amore deve essere spontaneo. E guai a dire che non è così!

Invece sbaglia ed è superficiale chi la pensa così anche se è in maggioranza assoluta. È l'amore a pelle, da pacca sulle spalle, da "vogliamoci bene" quello che non si può comandare, perché nasce spontaneo, per simpatia, per solidarietà, per commozione, senza l'intervento della volontà. Questo tipo di amore esiste, ma non c'è bisogno di comandarlo e neanche di raccomandarlo: viene dà solo, procura un po' di commozione, magari qualche lacrimuccia e poi passa, lasciando tutto come prima. Può servire tutt'al più per le canzonette di Sanremo. L'amore che comanda Gesù si chiama – nella nostra lingua – allo stesso modo, ma è tutta un'altra cosa. È l'amore dono, quello che non aspetta riconoscimenti e riscontri, che viene dato anche a chi non se lo merita, a chi non può e non vuole dare nessun contraccambio. Gesù, infatti non dice: "Vogliatevi bene! Fate i bravi!", ma: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Come ha amato Gesù lo sappiamo bene.

Ma esiste questo amore? È nelle nostre possibilità, oppure può essere soltanto un'aspirazione, un desiderio, un bel sogno? Esiste e come. Ci aiuta a capire questo anche il fatto di ascoltare la Parola – per l'ultima domenica a quanto pare – dentro le case, in famiglia, per mezzo degli strumenti della comunicazione moderni, oppure nella lettura personale o familiare. Perché mai? Perché l'amore che vive dentro la famiglia e che fa vivere la famiglia non è l'amore a simpatia, ma l'amore dono. I genitori lo sanno meglio e più di qualunque altro. Forse amano i figli soltanto quando li ricompensano con qualche soddisfazione, e ringraziandoli, oppure anche quando li deludono, si contrappongono, operano scelte sbagliate? E i figli amano i genitori finché sono da essi mantenuti e sostenuti, oppure anche quando si ammalano, invecchiano e vanno fuori di testa? E i mariti amano le mogli soltanto finché sono belle e pimpanti, oppure anche quando arrivano le rughe e gli acciacchi? E così le mogli e verso i mariti.

Quando non c'è l'amore dono ma soltanto quello "io ti do se tu mi dai" si sfascia tutto. In famiglia come dovunque. Gesù "comanda" questo amore a coloro che vogliono essere suoi discepoli perché questo amore può nascere soltanto da una scelta coraggiosa. Però lo "comanda", non lo impone. È come il navigatore dell'auto, ti indica la strada per arrivare al traguardo, ma non ti obbliga a seguirla. Con una differenza: il navigatore può sbagliare e sbaglia. Gesù no. Ti porta alla meta giusta e ti fa anche scoprire che, misteriosamente, «c'è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35).
Sarà vero? Provare per credere.


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