Abbandoniamo la nostra anfora accanto al pozzo

III Domenica di Quaresima - Anno A - 2020

Questa domenica particolare e difficile può riavvicinarci alla saggezza.

C'è un popolo, in questa terza domenica di Quaresima, che rimarrà a lungo nella nostra memoria. È un popolo che nel deserto si lamenta perché soffre per la sete. Così racconta la prima lettura dal libro dell'Esodo. Coloro che avranno la possibilità di ascoltarla, magari seguendo la Santa Messa in televisione o in streaming dalla propria parrocchia, al sentir parlare di sofferenza difficilmente penseranno agli ebrei nel deserto, perché troppo dentro alla propria sofferenza per il Coronavirus, che sta facendo attraversare situazioni che non avremmo mai immaginato. Dobbiamo, invece, identificarci con gli ebrei, perché meditando sul loro comportamento e sulla loro sofferenza, capiremo meglio il nostro comportamento e la nostra sofferenza. Nel deserto, il popolo si ricorda di Dio soltanto quando gli manca qualcosa che non trova nelle sue disponibilità. Come noi quando non troviamo ciò che vorremmo nei nostri scaffali, per quanto ben forniti. Infatti, da quanto tempo non ci ricordavamo di pregare il Signore come in questi giorni? E per cosa e per chi abbiamo pregato in questi giorni? Non sarà per caso che abbiamo impetrato soltanto per noi o al massimo per la nostra famiglia, e... per gli altri ci pensi il Signore!?

C'è un'anfora nel racconto del brano evangelico. Quella con la quale la donna samaritana va a rifornirsi al pozzo. Quella che dopo l'incontro con Gesù la donna abbandonerà, perché ha scoperto un'altra acqua. Anche noi abbiamo un'anfora con quale attingiamo dalla nostra mentalità, dalla nostra cultura, dal nostro modo di affrontare la vita. L'anfora dalla quale è balzato fuori un aspetto che in questi giorni il Covid 19 ha messo in clamorosa evidenza: l'illusione di poter evitare la sofferenza e il rifiuto di ritenerla componente della nostra vita. In questi giorni sui social circolava questo appello: "ai nostri nonni fu chiesto di andare in guerra. A noi viene chiesto di non uscire di casa. Ce la possiamo fare". Da vergognarsi! Per ritornare ad accogliere questa componente nella nostra vita, fermiamoci a contemplare un Gesù inedito per i nostri pensieri e anche per le nostre preghiere: «Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo». Non siamo abituati a pensare Gesù in questa situazione. Pensiamolo invece così quando vorremmo evitare la fatica; seguiamolo con attenzione e meraviglia mentre fa gli ultimi passi verso quel sedile, vi si butta sopra e si asciuga il sudore. Vero uomo, ha conosciuto e vissuto la sofferenza quotidiana, la stanchezza del giorno. Possiamo non accogliere questa dimensione della vita se vogliamo essere veri?

C'è una donna nel racconto che tutti conosciamo: la samaritana. È particolare. È una donna moderna. Sembra uscita dai talk show televisivi. È spigliata, disinibita, intraprendente, libera, per nulla intimidita di fronte a un uomo per giunta straniero. È "vissuta": passata da una esperienza all'altra. È contemporanea per il suo modo di affrontare la vita. Mentre Gesù la spinge alla ricerca scomoda della verità, lei cerca di rifugiarsi al riparo tranquillo delle opinioni: "Secondo te, dove bisogna adorare Dio? Su questo monte o a Gerusalemme?". Questa donna è il simbolo della cultura dominante, della verità ridotta a opinione: "Io la penso così", "Io la penso cosà". "Tu hai la tua opinione e noi la nostra. Chi ti credi di essere? Forse più grande del nostro padre Giacobbe?". Nessuna verità è nessun errore. È vero e giusto quello che risulta dai sondaggi. Questa donna siamo noi sempre in corsa dietro ai desideri che diventano diritti, ma che non corrispondono ai doveri. Perciò, quando viene a mancare "l'acqua" e arriva la "sofferenza", ecco il lamento: «Perché ci hai fatto salire dall'Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?».

Quando Gesù arriva al dunque dell'incontro e si rivela: il Messia? «Sono io, che parlo con te», la samaritana «lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?"».

Noi lo sappiamo che è lui il Cristo. Noi lo sappiamo che ci conosce fino in fondo. Lasciamo la nostra anfora. Attingiamo all'acqua viva della sua parola e della sua testimonianza. Incoraggiati dal suo essere «affaticato e stanco», viviamo questa situazione con coraggio e pazienza.


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