Adoriamo il mistero della fede

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo - Solennità - Anno B

La celebrazione del Corpus Domini, una delle feste più amate della tradizione cristiana, deve stimolarci a rendere più vera la celebrazione della Santa Messa.

"Mistero della fede", proclama il sacerdote in ogni Santa Messa, dopo aver mostrato ai fedeli l'ostia e il vino, consacrati con l'invocazione allo Spirito Santo e con le parole pronunciate da Gesù nell'ultima cena. Questo annuncio, come tutto ciò che si ripete sempre uguale e nello stesso modo, rischia di finire in parole che non dicono più niente né al nostro cervello né al nostro cuore. Questa eventualità è tanto più in agguato perché la parola "mistero" nella nostra lingua non esprime e non comunica in maniera efficace il significato del linguaggio liturgico e biblico. "Mistero", infatti, nel linguaggio corrente significa qualcosa di oscuro, di nascosto, di potenzialmente pericoloso (es. Quello che è accaduto in quella casa è un mistero), mentre nel linguaggio liturgico vuol dire tutt'altro, cioè una realtà talmente grande che supera la nostra comprensione. In questo caso, la realtà grande è il pane e il vino che diventano il corpo e il sangue del Cristo risorto. Realmente! È infatti al Signore lì presente che noi ci rivolgiamo con le parole: "Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell'attesa della tua venuta".

Sappiamo che le parole diventano più efficaci se sono accompagnate e rafforzate da sentimenti e gesti. Per rendere più vera la professione di fede a parole, abbiamo a disposizione un sentimento, l'adorazione: il sentimento con cui riconosciamo la nostra meraviglia e il nostro grazie di fronte alla grandezza  di ciò che il Signore compie. Questo sentimento, che deve essere presente in tutta la celebrazione (lo lodiamo per la sua grandezza; chiediamo perdono perché ci riconosciamo piccoli; ascoltiamo la sua parola con profonda attenzione perché essa viene dall'alto; gli offriamo la nostra vita perché la trasformi nella sua...), deve raggiungere il livello più alto durante la consacrazione. È qui infatti che il Cristo Risorto, come sommo sacerdote, con il suo sangue invece di quello dei giovenchi, rinnova l'alleanza con Dio, celebrata da Mosè ai piedi del monte Sinai.
Il gesto per esprimere e per vivere l'adorazione è mettersi in ginocchio. Questa postura, che dimezza l'altezza della persona, significa per chi lo compie consapevolmente farsi piccolo, riconoscere la propria debolezza, rinunciare a combattere, affidarsi. È il gesto dei malati che chiedevano a Gesù di essere guariti (Mc 1,40), e degli apostoli che incontrano il Signore Risorto (Mt 28,9). Chi per motivi pratici (non c'è la panca o c'è l'artrite...) non può mettesti in ginocchio, può comunque inchinarsi.

Oltre a essere il momento più "misterioso" e alto della Messa, la consacrazione è ciò che dà senso alla celebrazione. Se nel pane e nel vino consacrati non ci fosse la presenza reale del Cristo risorto, tutto il resto sarebbe scena, pantomima, finzione. Ciò può accadere se questo momento viene fatto passare via con superficialità. Purtroppo questo sfasamento non è raro che accada, perché l'adorazione non è un sentimento usuale nella nostra vita quotidiana. In essa, dove tutto è a nostra misura, sono rare le occasioni di sentire il bisogno di inchinarci, di inginocchiarci, di rimanere in silenzio davanti a qualcosa o qualcuno talmente grande e bello che ci lascia senza parole. Anzi, inchinarsi può significare sudditanza e dipendenza; e il silenzio, abituati a vivere sempre tra i rumori, ci fa quasi paura. Stando così le cose può accadere (e accade!) che le nostre Messe, animate con canti, gesti, e movimenti nelle altre parti della celebrazione, dopo il canto del Santo, diventino una parentesi vuota in attesa del Padre Nostro e dello scambio della pace.

È necessario, invece, che tutto quello che la precede (i riti iniziali, la richiesta di perdono, l'ascolto della parola di Dio, l'omelia, la preghiera dei fedeli, la presentazione delle offerte) conduca alla consacrazione, e tutto quello che la segue (Padre Nostro, scambio della pace, comunione) ne sia una conseguenza.

Ci può aiutare molto metterci in ginocchio e, guardando l'ostia e il calice consacrati che il sacerdote ci mostra, esclamare interiormente con Tommaso: "Mio, Signore e mio Dio".


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