Amiamo la vita che Dio ama

V Domenica del Tempo di Quaresima - Anno A -2017

Siamo giunti alla quinta domenica di Quaresima. Dal Vangelo leggiamo che Gesù "scoppia in pianto" per l'amico Lazzaro. Un pianto che ci dice che Dio non è per la morte ma per la vita. Lui ama la nostra vita, come ha amato quella di Lazzaro, anche noi dobbiamo amarla con tutte le nostre forze.

Davanti al sepolcro del suo amico, "Gesù scoppiò in pianto". Non qualche lacrima discreta, ma uno scoppio di pianto. Il suo non è un cedimento al sentimentalismo, ed è molto più della manifestazione di amore per Lazzaro, come pensano i Giudei. È un messaggio fondamentale: Dio non è colui che ci fa morire, che ci getta nel sepolcro, ma, come assicura per bocca di Ezechiele, è colui che ci fa uscire dai nostri sepolcri. Questo annuncia il pianto dirotto di Gesù.
Per tre volte, in un crescendo drammatico, egli si è scontrato con la morte: ha risvegliato alla vita una ragazza che aveva appena chiuso gli occhi; ha riconsegnato alla madre vedova il giovane figlio unico sulla via della sepoltura; ha fatto uscire dal sepolcro il suo amico, già in preda alla putrefazione. Davanti alla morte, comunque essa avesse colpito, Gesù ha condiviso la sofferenza da essa procurata per rivelarci quello che facciamo tanta fatica a comprendere: la morte non è una punizione di Dio.

Nonostante tutti i ragionamenti, infatti, noi sentiamo la morte come una punizione, come un'ingiustizia, come una nostra nemica. E siccome non siamo noi a volerla, a mandarcela può essere soltanto chi può tutto: Dio. Ma se lo riteniamo il giustiziere della nostra esistenza, come si fa ad avere con lui amore filiale? E' per questo che Gesù, con la compassione per i genitori della ragazzina, con la sua profonda commozione per la vedova di Nain, con il pianto dirotto per l'amico Lazzaro ci annuncia che non è così, "perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c'è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra" (Sap 1,13-14).

Ma se Dio non la vuole, da dove sbuca la morte? San Paolo dice che la morte è entrata nel mondo con il peccato (Cfr. Rm5,12). Questa risposta non ci basta, ma non ce n'è un'altra. Perciò non ci rimane altro che fidarci di Dio, che "ha creato l'uomo per l'incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura" (Sap. 2,23), e piangere con Gesù ogni volta che essa colpisce.

Però non basta piangere. Torniamo a Betania mentre Lazzaro esce dal sepolcro, e domandiamoci: "Perché Gesù lo riporta alla vita, se poi di nuovo dovrà finire nel sepolcro? Non potrebbe consolare le sorelle, dicendo loro (come a volte si sente dire): Non piangete! Adesso vostro fratello è in paradiso. Ora finalmente non soffre più in questa valle di lacrime. Ora ha raggiunto la vita vera". Invece no! Gesù piange per la morte dell'amico e lo riporta in questa vita, perché è "questa vita" quella che Dio ama. E' questa che desidera far durare per sempre. La vita eterna, infatti, non è un'altra vita ma questa che diventa "altra" e "per sempre", se viene recuperata dal peccato con le potenzialità di amore con cui ci è stata donata.

Ecco, allora, che il pianto di Gesù per la morte del suo amico è uno stimolo fortissimo ad amare la nostra vita, questa nostra vita, ogni vita. Perché se Dio ama la nostra vita, se Gesù ama la nostra vita, dobbiamo amarla anche noi. Con tutte le forze. In tutti i modi. Sempre. In tutti, nessuno escluso. Soprattutto nei più deboli.
E non dobbiamo sprecarne nemmeno un istante per ciò che non è vita, difendendola con i denti dalla morte e dalla sua corte: sofferenza, dolore, angoscia..., e facendola uscire dai sepolcri che la farebbero marcire per sempre, cioè da tutto ciò che la rende banale, volgare, inutile, umbratile, nemica della vita degli altri.


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