L’Avvento come stile e impegno di vita

I Domenica di Avvento - Anno B - 2014

Ritorna l'Avvento. Come tutto ciò che ritorna sempre, può essere o lasciato passare, o vissuto. Nel secondo caso, esso è uno stimolo efficace per verificare se la nostra vita trascorre nell'abitudine, tornando sempre su se stessa, oppure sale a spirale come un'avventura sempre nuova, spinta in alto dalla fedeltà alle sue scelte. 

Stimoliamoci a vivere questo tempo. Prima di tutto, ricordiamo a noi stessi che l'Avvento non ci prepara alla festa del compleanno di Gesù, ma a rafforzare, singolarmente e come Chiesa, l'attesa della sua seconda venuta come Signore della vita e della storia. Lo sappiamo che è così, ma il battage pubblicitario, ogni anno più assordante e prepotente, potrebbe inconsapevolmente risucchiarci dentro a un circuito di attese che poco o niente hanno a che vedere con il valore religioso dell'avvenimento. E questo senza volere fare i puri e i puritani. Tutto ciò che rende il Natale bello e desiderato (doni, luminarie, albero, presepio, incontro...) non va condannato, ma deve essere vissuto come mezzo per ampliare il valore spirituale, non per ridurlo a problemi di consumi, di tredicesima, di crisi, di ferie, di baldorie.

Un'altra convinzione da consolidare è che la nostra vita è sempre "Avvento", è sempre attesa della venuta del Signore. Il tempo liturgico serve non per attendere il Signore in queste quattro settimane, ma per approfondire l'impegno a vivere ogni giorno, singolarmente e come Chiesa, nella sua attesa.

Cosa significa, però, al di là delle belle parole, vivere aspettando il Signore?
Ce lo chiarisce la brevissima parabola di Gesù: ognuno di noi è i servi incaricati di custodire la casa lasciata loro in consegna, e anche il portiere incaricato di vigilare, per evitare che il padrone ci trovi addormentati.

Ciò comporta verificare, prima di tutto, quali e quante sono le attese (non si può vivere senza attese!) che riempiono le nostre giornate, e muovono i nostri pensieri e le nostre azioni, per controllare se esse scaturiscono, o almeno comprendono, anche l'attesa del Signore, oppure se, magari inavvertitamente, ci portano su vie completamente diverse dalla sue. Questo esame della nostra vita ci permetterà di scoprire quanto dentro di noi accoglie il Vangelo, oppure gli resiste e lo contraddice; quante zone d'ombra resistono alla "pratica con gioia della giustizia", che ci fa camminare sulle vie del Signore. E' sempre in agguato, infatti, il rischio che le nostre scelte diventino "avvizziti come le foglie" di questo fine novembre, rendendoci incapaci di vedere il suo volto, e impedendo che "i cieli scendano dentro di noi".

Sì, siamo come "i servi incaricati di custodire la casa lasciata loro in consegna, e anche il portiere incaricato di vigilare, per evitare che il padrone ci trovi addormentati", non dimenticando che la casa che ci è stata affidata comprende la vita che ci circonda. Questo tempo liturgico ci impegna, perciò, anche a migliorare la storia nella quale il Signore ci ha posto, consapevoli che attendere il Signore non è allontanarsi dalla vita, ma entrare sempre più dentro di essa per spingerla verso il Creatore, che non ci crea e poi ci lascia andare, ma ogni giorno è nostro padre; e ogni giorno noi siamo argilla che lui plasma, opera delle sue mani.

"Se tu squarciassi i cieli e scendessi!", invocava il profeta. Dio i cieli li ha squarciati a Betlemme, facendo scendere tra noi il Figlio. Adesso noi dobbiamo squarciare la nostra vita e la nostra storia, segnalando a tutti con la nostra vita vigilante, che egli viene sempre, in qualsiasi ora: "alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino".


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