Buoni sì, paciocconi no

XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2019

Il bene non va soltanto vissuto, ma anche testimoniato e diffuso.

Quando Gesù vuole fare il provocatore ci riesce a meraviglia. Vedi la parabola dell'amministratore disonesto, nella quale, dopo avere raccontato un episodio di mala amministrazione, afferma nientemeno che «il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza». Non conosciamo la reazione di coloro che stavano lì ad ascoltarlo dal vivo. Se fossimo stati noi al loro posto sicuramente non saremmo rimasti indifferenti: "Ma cosa dice oggi Gesù? Non c'è giorno che non prenda di mira farisei e scribi per i loro comportamenti disonesti, e adesso loda quel tipaccio furbastro che si approfitta per due volte dei beni del suo padrone, che addirittura gli fa i complimenti invece di farlo finire in galera? Allora invece di additare alla pubblica esecrazione i furbi del cartellino, i falsi invalidi, i truffatori e tutta la lunga lista dei loro compari, dobbiamo dare loro la medaglia? E, quando anche noi - oh non per cose grosse! - ci aggiustiamo un po', possiamo stare tranquilli?".

Non ci saremmo sbagliati a reagire così - e non ci sbaglieremmo neppure oggi – se ci fossimo fermati solo al racconto senza ascoltare la conclusione di Gesù: «I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». Con essa, il senso della parabola è chiaro e inequivocabile: il padrone non loda la disonestà, ma la capacità dell'amministratore di reagire alle difficoltà.

La parabola, anche compresa nel senso il giusto, non perde la sua carica provocatoria, ma la rende più pungente, perché con la sua riflessione Gesù precisa i destinatari. Egli non annuncia un principio generale, ma si rivolge a coloro che vogliono – o credono – di essere "figli della luce", che sono d'accordo con lui nel condannare i comportamenti disonesti, limitandosi, però, a deprecarli, senza fare niente per contrastare attivamente i "figli di questo mondo".

Tra costoro possiamo esserci anche noi. Non è piacevole ammetterlo, ma non possiamo negarlo: è per noi la sferzata di Gesù. Noi, che siamo sicuramente abbastanza buoni, o almeno ci proviamo, però sicuramente siamo troppo paciocconi. Non per niente papa Francesco ci sta stimolando a farci carico dei grandi problemi del mondo, come l'accoglienza dei profughi, la custodia dell'ambiente, la pace nel mondo, l'impegno politico... non per trasformare la fede in sociologia, come si accaniscono a non capire i suoi critici, ma per far sì che la fede sia una battaglia a favore del bene.

Ed ecco la solita difficoltà: "Cosa possiamo fare noi gente comune che non abbiamo né voce, né potere per contribuire al bene nostro, della società, del mondo?". L'amministratore disonesto, e "i figli di questo mondo" che lo imitano, non si fanno tante domande: fanno tutto quello che è nelle loro possibilità. Ciò che tutti possiamo fare è essere onesti e non chiudere gli occhi sulle piccole o grandi disonestà che ci capitano intorno, ma denunciarle e combatterle.

Un'altra attività alla portata di tutti noi è fare «domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio», come ha raccomandato papa Francesco pochi giorni fa, riprendendo le parole di san Paolo.

Ci viene dire: "Ma la preghiera serve a qualcosa?". A parte gli effetti misteriosi in coloro per i quali preghiamo, che soltanto il Signore conosce, essa mantiene viva in noi la consapevolezza che per essere figli della luce è necessario essere combattenti del bene, come i figli di questo mondo lo sono del male.


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