La fede serve per vivere al meglio non per campare.
L’evangelista Giovanni conclude il racconto, dicendo: «Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui». “Questo”, cioè l’acqua diventata vino. “L’inizio dei segni”, cioè il primo di avvenimenti visibili e tangibili (comunemente chiamati miracoli) che rimandano a una realtà più grande, che non si può né vedere, né toccare. Questo “miracolo” è talmente conosciuto da rischiare di diventare scontato. Non deve essere così. Ce lo siamo detti infinite volte: il Vangelo (tutta la Bibbia!) non è un libro da imparare, ma una parola di Dio da ascoltare "oggi" Ascoltiamolo, sottolineando i dati salienti.
Con questo intervento in una festa di nozze Gesù apre la sua missione: andare per città e villaggi, «predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio». Ci si sarebbe aspettati un “lancio” più solenne, magari una grande adunata davanti al tempio di Gerusalemme, o almeno davanti a una sinagoga, con un “evento” clamoroso: un’apparizione di spiriti celesti, un roteare del sole … Niente di tutto questo. Soltanto un rifornimento di vino conosciuto soltanto dai «servitori che avevano preso l’acqua», e presumibilmente da sua madre.
Singolare è anche lo scopo del miracolo: rifornire di vino la festa. Per dare il via alla sua "ora", Gesù non fornisce ai commensali pane e companatico, il necessario per un pranzo decoroso, ma il vino, un extra, che a noi sembrerebbe quasi provvidenziale fosse mancato a quegli ospiti che probabilmente avevano già “bevuto molto”. In effetti, quello di Cana sembrerebbe un miracolo un po’ esagerato o addirittura sprecato, se non fosse stato un segno, cioè, come detto sopra, l’invito a indicare una realtà non materiale: la gioia. Il vino, infatti, nella Bibbia è il simbolo della gioia intelligente e saggia: «Che vita è quella dove manca il vino? Fin dall’inizio è stato creato per la gioia degli uomini» (Sir 31,27); ma: «Il vino è beffardo, il liquore è tumultuoso: chiunque si perde dietro ad esso non è saggio» (Pro 20,1). Adesso diventa evidente la straordinaria importanza del “segno” con cui Gesù dà inizio alla sua “ora”. Con esso rivela che la sua missione è dare compimento alla profezia di Isaia: «Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo». Egli è venuto per manifestare che Dio ci guarda con amore, «come gioisce lo sposo per la sposa», e desidera la nostra gioia. Non è entrato nella nostra storia per portare il necessario per vivere - questo si può avere anche senza di lui - ma la qualità del vivere. La fede in Gesù non serve per campare, ma per vivere al meglio. Il primo miracolo di Gesù ci stimola a cambiare la nostra fede, sia a livello personale che comunitario, dal momento che non sempre è vissuta come un incontro d’amore, e la comunità cristiana non sempre è l’immagine di un festoso pranzo di nozze.
Come Chiesa e come singoli credenti siamo chiamati a continuare l’“ora” di Gesù con le sue caratteristiche e le sue modalità, rivelando che Dio ci vuole bene, che desidera la nostra gioia, e che siamo inviati a portarla. Questo non significa andare in giro con il sorriso stampato sulla faccia (tanto più inutile adesso con le mascherine!) o affermare retoricamente che la fede aiuta a superare le tristezze e le difficoltà, ma trafficare con generosità i propri “carismi”, i propri doni, «distribuiti dallo Spirito a ciascuno come vuole», sia per contribuire a rendere la Chiesa più “sinodale” (come esorta san Paolo), sia a offrire il proprio contributo per una società più equa, solidale, capace di accogliere le diversità per farle diventare una ricchezza.
Non si può riflettere su questo brano senza un pensiero a Maria. Il suo intervento non richiesto ha sicuramente ispirato Dante, quando scriveva: «La tua benignità non pur soccorre / a chi domanda, ma molte fïate / liberamente al dimandar precorre» (Paradiso, Canto 33).