Chiesa e cristiani segno e strumento di pace

VI Domenica di Pasqua - Anno C - 2016

In questa VI domenica del Tempo pasquale, la parola dominante è pace. Pace come cammino della Chiesa terrena verso la Chiesa del cielo, la nuova Gerusalemme. Pace che nasce dall'accoglienza della parola di Gesù: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” e che trasforma il cristiano in incessante ricercatore e creatore di pace.

È molto difficile e a volte impossibile interpretare i numeri del libro dell'Apocalisse, scritto in un genere letterario apposito per non passare informazioni a gente non desiderata.
Quelli, però, con cui l'autore descrive "la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio", che "non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna", perché "la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello", sono chiari.
Infatti: "grandi e alte mura con dodici porte: dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte (= dodici porte). Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello".
Tutto è dodici. Cioè, tutto è perfetta armonia. Questa è la città nuova, la tenda di Dio con noi, dove ogni discordia, disarmonia e contrasto, con le conseguenze che si portano appresso, sono scomparsi.


Scendiamo sulla terra

A Gerusalemme la Chiesa di Gesù Risorto inizia il suo cammino. Essa è il segno di quella del cielo, ma qui l'armonia non c'è.
Qui si discute e si dissente animatamente, per false donazioni alla comunità (At 5,1-11); per il servizio alle mense accusato di parzialità (At 6,1); e ultimamente perché alcuni fratelli vogliono imporre la circoncisione a tutti, contro il parere di altri.

Come può la Chiesa terrena, piena di contrasti e disarmonie, essere segno della Chiesa del cielo, dal momento che il segno deve essere in sintonia con la realtà a cui rimanda? Una candela accesa può significare la luce, non la notte. Può farlo, accogliendo la pace di Gesù: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi", cioè senza fare finta di essere in pace; senza nascondere i conflitti sotto il tappeto; senza adeguarsi alla mentalità "mondana" della pace, intesa come quieto vivere, come accettazione passiva della situazione di conflitto, come lasciar correre per non avere fastidi, come resa ai più forti per compiacerli.

La Chiesa nascente di Gerusalemme osserva la parola di Gesù: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". I componenti, a cominciare dagli apostoli, prendono atto dei contrasti, si riuniscono, discutono, si ascoltano, pregano lo Spirito Santo, accettano di non imporre le loro ragioni, arrivando così a un livello di armonia, imperfetto, ma adeguato a essere "dimora" del Padre, del Figlio e dello Spirito. Poi nasceranno nuovi contrasti che saranno superati con gli stessi criteri, in un cammino incessante di ricerca e creazione di pace.

Questo è il compito della Chiesa.
Di tutti i tempi e quindi di quella di oggi. Questo è il compito dei cristiani, dei gruppi, della associazioni della parrocchie, di tutte le realtà che vogliono essere Chiesa. Così, costruendo continuamente e dovunque questa pace, la Chiesa è segno efficace, cioè indica e contemporaneamente costruisce la Gerusalemme celeste.


Come possiamo noi, singoli cristiani, deboli e limitati, realizzare questo compito così grande?

Papa Francesco ha indicato un percorso per la pace in famiglia, valido per ogni situazione e realtà.
Esso si compone di tre parole: "Permesso? Grazie. Scusa".
La prima parola è permesso?: preoccuparsi di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere. "La seconda parola è grazie: diventare intransigenti sull'educazione alla gratitudine, alla riconoscenza. "La terza parola è scusa: parola difficile, ma necessaria, altrimenti "piccole crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi" (Udienza generale 13 maggio 2015).

Sono piccoli gesti per significare e costruire una realtà grandiosa: "la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio". E per camminare verso l'eterno dimorare in essa.


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