La preghiera è vera se è anche impegno a realizzare ciò che si chiede.
Il racconto di Mosè e il roveto ardente, evento fondamentale della storia della Salvezza, è così suggestivo e misterioso che non si finisce mai di immaginarlo e di meditarlo da qualsiasi angolo visuale lo si consideri. Avviciniamolo come se fosse un fatto di cronaca, che accade adesso, davanti a noi.
I protagonisti: Mosè e Dio. Mosè, fuggito dall’Egitto dopo il tentativo maldestro di liberare quello che aveva scoperto essere il suo popolo, è finito in montagna a pascolare il gregge del suocero. Non è granché, ma è al sicuro e tranquillo. Dio gli si rivela attraverso un roveto che arde senza consumarsi. Il pastore si incuriosisce: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo», e Dio si presenta: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Cioè, sono colui che vede le vicende umane, entra dentro e le accompagna. Infatti: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze». Anche Mosè le conosce, proprio per esse è finito lì. Continua Dio: «Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele». Noi avremmo esclamato: “E allora liberalo, cosa aspetti? Tu puoi tutto. Puoi distruggere l’Egitto in un attimo”; ed è così che esclamiamo nelle nostre preghiere, anche in quelle che salgono al cielo in questi giorni: “Fa’ cessare la guerra tra Russia e Ucraina, e sconfiggi questa pandemia che ci tormenta”. Tra Dio e Mosè le cose non vanno così (purtroppo il testo della liturgia tralascia i versetti 10-13). È Dio che chiede a Mosè di impegnarsi: «Perciò va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». All’enormità della richiesta, Mosè esclama: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall'Egitto?». La risposta non è: “Farò tutto io, tu sarai la mia controfigura”, ma: “Tu impegnati e io sarò con te, ti sarò accanto, perché io «sono colui che sono!», cioè colui che c’è, che è vicino, che accompagna come ho fatto con Abramo, Isacco e Giacobbe”. Mosè, dopo aver provato a rifiutare per cinque volte, accetta la consegna, la vivrà in una vicinanza con Dio a volte tumultuosa, ma così profonda che lo porterà a parlare con lui, «faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico» (Es 33,11).
Dal Sinai scendiamo al lago di Tiberiade. Gesù sta parlando. “Alcuni” vogliono sapere se le vittime di due fatti di cronaca: i Galilei fatti massacrare da Pilato, e diciotto persone, morte nel crollo della torre di Sìloe, se l’erano meritata perché peccatori. Gesù nega decisamente il rapporto diretto tra disgrazie e peccato, tra colpa e pena: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico…. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico». Poi. con altrettanta fermezza ammonisce: «Ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Questo invito alla conversione è sorprendente, perché non è immediato il nesso tra conversione e strage di Pilato, crollo della torre, e quindi guerre, pandemie, terremoti, disastri...
Le parole di Gesù sono difficili da capire se intendiamo la conversione in maniera riduttiva, come smettere di dire parolacce, dare più spazio alla preghiera e a qualche opera buona. Quella che Gesù chiede è accettare la collaborazione con Dio nel costruire la vita così come egli l’ha pensata: senza miseria, schiavitù, grida di dolore. Per Gesù convertirsi vuol dire rendersi disponibili alle sue consegne, come Mosè sul monte, impegnandosi a collaborare con lui per ottenere ciò che chiediamo.
Dio è esigente. Ci vuole alberi che producono frutti. Dio è paziente. C’è sempre il vignaiolo che lo invita ad aspettare ancora, che zappa intorno e mette il concime. Chi è il vignaiolo? I suoi interlocutori non potevano saperlo. Noi sì. È Gesù che vede le nostre difficolta, si fa vicino, cammina con noi.