Come la gara dei cento metri

XVIII domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2022

La brevità e la provvisorietà non sminuiscono la laboriosità, ma la ricaricano.

La parola di Dio di questa domenica sembrerebbe invitare a una vita poco impegnata e poco combattuta, perché, essendo segnata dalla provvisorietà, deve essere indirizzata fin da ora verso quella del cielo, che non conosce i limiti del tempo. La prima lettura, dal suggestivo e attualissimo libro del Qoelet, dopo avere sentenziato: «Vanità delle vanità: tutto è vanità», commenta: «Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato… Quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole?». Non è difficile interpretare questo testo come un invito a non darsi troppo da fare, tanto tutto svanisce.

Nella seconda lettura, Paolo esorta: «Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra». Come dire: “Ciò che appartiene alla terra”, essendo impastato di “impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria”, va indirizzato fin d’ora verso le cose “di lassù”, quelle pure e sante del cielo.

Il protagonista della efficace parabola evangelica viene definito «stolto», perché si illude di godersi i beni per i quali ha lavorato: «Anima mia hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!». Invece: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». Il narratore commenta: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». Quindi anche Gesù sembrerebbe invitare a vivere senza darsi troppo da fare così da non arrivare davanti a Dio con il rimpianto di avere lasciato tutto ciò per cui ci si è impegnati.

La provvisorietà è una carica di energia

Da questi brani sembrerebbe scaturire l’invito a una vita che dia poco valore alle cose di quaggiù, tutte vanità, a favore delle cose di lassù, che rimarranno per sempre. Ma non è così e non può essere così.

"Vanità", infatti, non significa vuoto, cosa insignificante, inutile, ma indica qualcosa che svanisce, che è effimero, come la nebbia, realtà che viviamo e sperimentiamo. Che la nostra vita e tutto ciò che essa ci propone, sia fugace «come l’erba che al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca», è tutt’altro che l’esortazione a non prenderla sul serio. La gara di atletica dei cento metri, proprio perché è un lampo, richiede le energie e le condizioni fisiche e psicologiche migliori.
Le "cose di lassù" non sono quelle che vivremo nel cielo, dopo, ma quelle che ci portano in cielo. Se le cose di lassù fossero quelle che vivremo dopo, come e dove trovarle su questa terra? Esse in realtà sono la nostra vita, vissuta in modo da evitare «impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria» che impediscono alle nostre opere di arrivare lassù.
La ricchezza che rende stolto il protagonista della parabola di Gesù non è quella di uno che si è trovato improvvisamente tra le mani un patrimonio. Egli era già ricco: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante», perciò si era dato da fare. Gesù non lo condanna perché è ricco, ma per la bramosia incontrollabile di avere di più («quella cupidigia che è idolatria») dalla quale si è fatto conquistare, dimenticando che la vita non dipende da ciò che si possiede.

Un cuore saggio

La parola di Dio non invita a una vita terrena depotenziata dalla brevità e dalla provvisorietà, ma alla saggezza, riassunta in maniera efficacissima dalla preghiera del salmista: «Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio». "Cuore" nel linguaggio biblico non è il luogo dei sentimenti, ma il centro di comando, dove vengono compiute le scelte che contraddicono o meno quello che siamo; quelle che non fanno cadere nella illusione che la nostra vita dipenda da ciò che abbiamo affannosamente ammucchiato.


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