Credere in Gesù è volergli bene

III Domenica di Pasqua - Anno C - 2019

Alla fede non bastano le idee, se non sono un segno concreto del nostro voler bene al Signore.

La mattina di Pasqua Gesù aveva detto alle donne: «Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"» (Mc 16,7). Gli apostoli si sono recati là.
Sono agitati, confusi e incerti su ciò che sta veramente accadendo. Alcuni hanno visto il Risorto, o hanno sentito di alcuni che lo hanno visto. Troppo poco per essere rassicurati. Le poche visioni sono state come flash che più che far vedere hanno abbagliato gli occhi. Ora aspettano un incontro vero, sicuro, chiarificatore. L'attesa, però, è difficile da sopportare, soprattutto per un tipo come Pietro che, per ingannarla, decide: «Io vado a pescare». Gli altri lo seguono, ma pesci zero.

All'alba, mentre stanchi e delusi si avvicinano alla riva, una voce chiede loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Il loro secco: "no" fa intuire il loro stato d'animo. Nonostante ciò, forse per un ricordo che cominciava ad affiorare – noi troviamo il racconto poche pagine prima, ma per loro erano passati tre anni molto intensi – obbediscono a quello sconosciuto, che li invita a gettare la rete all'alba e a un centinaio di metri dalla riva, quando e dove nessun pescatore lo avrebbe fatto. E invece «non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci». A questo punto Giovanni intuisce e Pietro agisce: lo raggiunge a nuoto, perché la barca è troppo lenta per i suoi sentimenti. Questo è amore.

Sulla riva. Colui che aveva chiesto da mangiare, lo ha preparato per loro: «un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane». Vedono che è il Signore, ma hanno paura di chiedergli se veramente sia lui, forse per timore che scompaia subito. Parla il Signore, chiedendo un po' del loro pesce, che in realtà è il suo, perché pescato sulla sua parola. È sempre Pietro a eseguire. Qualsiasi cosa Gesù chiede, egli risponde prontamente. Magari poi non riesce a fare quello che gli è stato chiesto, ma non mette mai in discussione la richiesta. Questo è amore.

«Quand'ebbero mangiato», Gesù si rivolge per tre volte a Pietro, al quale non sfugge il riferimento al canto del gallo, ma la confidenza con il Maestro non gli fa mancare la risposta giusta: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».

Su questa dichiarazione dell'apostolo, che è la fotografia della sua persona e della sua fede, Gesù, con il suo «pasci le mie pecore», mantiene la promessa fatta all'apostolo: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18), e stabilisce che per essere sue pecore e sua Chiesa bisogna potergli dire, come Pietro, «tu sai che ti voglio bene». Questa deve essere la nostra dichiarazione di fede, perché anche le iniziative più clamorose, anche le preghiere più fervorose, anche le celebrazioni più solenni non servono a niente se non esprimono il volergli bene, e se non sono un segno concreto del volergli bene. Se c'è questo amore, le nostre debolezze non contano.

Ma cosa significa volere bene a Gesù? Abituati a dare alla parola "amore" i significati più vari e strani, possiamo cadere nel rischio di ridurla a quello delle canzonette. Quello di Pietro non si limita a fare rima con cuore. Diventa testimonianza concreta. Al perentorio ordine del sommo sacerdote di non insegnare nel nome di Gesù, il pescatore, che si era fatto mettere paura da una serva, risponde con un deciso: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini». E le frustate, che avrebbero dovuto chiedergli la bocca, gli offrono un'altra occasione per dimostrare la verità del suo «Signore, tu sai che ti voglio bene»: guida gli altri ad andarsene via «lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù».
Tra questi altri cerchiamo di esserci anche noi.


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