Cristiani su strada

Ascensione del Signore - Anno A - 2023

Il cielo dove Gesù è asceso non va guardato, ma testimoniato.

I discepoli che fissano il cielo mentre il Signore sale in alto fino a scomparire tra le nuvole sono una immagine che colpisce nel profondo, perché in essa si materializzano tutti i sentimenti dei momenti di svolta di una esperienza nella quale si è creduto, e per la quale ci si è messi in gioco: nostalgia, rimpianto, timore, smarrimento… Queste svolte accadono in tutti i campi del vivere: l’amicizia, la famiglia, la professione, l’età, la salute e anche nella fede, che non è un “copia e incolla” di giorni che si susseguono, ma una ripartenza quotidiana tra entusiasmi, stanchezze, dubbi, sicurezze, incertezze, ricordi di ciò che è passato, preoccupazioni per quello che avverrà.
È questo il passaggio che i discepoli stavano vivendo sul «monte che Gesù aveva loro indicato», con tristezza, nonostante fossero stati rassicurati più volte: «Non vi lascerò orfani» (Gv 14,18); «il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).

La consegna

Sui discepoli con gli occhi fissi a guardare la nube che lo sottrae ai loro occhi intervengono «due uomini in bianche vesti»: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Ritornerà... Ma nel frattempo? La consegna era stata chiara: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». E niente paura, perché: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Dopo questo mandato – come riferisce l’evangelista Marco - «essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20).
Così il suo vangelo arrivò dovunque con tale velocità e capacità di penetrazione che gli storici non sanno spiegarsi.

Predicare dappertutto

La consegna di non fare della fede un passivo e attendista stare a guardare il cielo, ma un deciso impegno a andare a predicare dappertutto, è passata a noi, che abbiamo ricevuto il Paràclito – il consolatore e avvocato – promesso da Gesù per insegnare ogni cosa e ricordare tutto ciò che ha detto. Però, questo andare a predicare dappertutto ci spaventa: “Andare a predicare e a fare discepoli? Potranno farlo soltanto alcuni che non hanno famiglia e impegni sociali, cioè preti, frati, religiosi, e qualche laico volenteroso”. Pensando così, confiniamo l’evangelizzazione “dappertutto” dentro le chiese.

Il dappertutto dov’è?

Il nostro dappertutto è dove abitiamo, dove lavoriamo, dove passiamo, dove socializziamo, dove capitiamo… per poco, o per tanto, o per sempre. Lì dobbiamo annunciare, con parole e opere, il Signore, che, fedele alla sua promessa, resta accanto a noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo e conferma il nostro annuncio con questi segni: «nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17-18).

Segni fuori stagione?

“Scacciare demoni, prendere in mano serpenti, guarire i malati… Mai visti! Questi sono miracoli al di fuori delle nostre possibilità e anche incomprensibili per i nostri tempi”. Non è così. Tradotti nel nostro vocabolario essi vogliono dire che dovunque c’è bisogno di bontà, di solidarietà, di vicinanza, di ascolto, di comprensione, di generosità, di gratuità… di questi miracoli c’è bisogno più che mai. Ce ne sono già tanti (vedi cosa è accaduto nell’alluvione di questi giorni, come sempre nei disastri) e ce ne vogliono sempre di più. I “discepoli di Gesù” devono essere sempre in prima fila a compierli, non stare con gli occhi fissi a guardare il cielo.


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