Decisione ferma e cammino umile, paziente, continuo

XIII Domenica del tempo Ordinario

Il vangelo di domenica scorsa ci ha ricordato che non si è cristiani per essersi trovati tali, ma per la scelta libera e consapevole di seguirlo, rinunciando a se stessi (cioè ai propri criteri e interessi umani) per cercare di vivere come lui è vissuto (prendere la croce ogni giorno). In questa XIII domenica, ci vengono indicate le condizioni che rendono possibile e autentica questa scelta.

La prima condizione è un "ferma decisione". Gesù è arrivato allo snodo fondamentale della sua vita: andare a Gerusalemme, dove sa cosa ormai lo aspetta, oppure tornare indietro, come gli stessi apostoli per bocca di Pietro gli suggeriscono (Mt 16,22-23). Gesù decide per il sì, anche se la scelta gli richiede tutte le energie della volontà. Pensare di essere cristiani senza un "ferma decisione", può bastare per continuare la pratica religiosa, ma non per essere suoi discepoli. Le lamentele che sentiamo e facciamo sulla vita cristiana debole e scadente, derivano dalla mancanza di questa "ferma decisione". Per rimediare non serve raccomandare la pratica religiosa, ma stimolare la scelta, non nascondendo e non annacquando le difficoltà che essa comporta, come Gesù stesso dimostra con tre incontri estremamente significativi.

Un "tale" gli si avvicina e gli dimostra la massima disponibilità a seguirlo: «Ti seguirò dovunque tu vada». Gesù lo avverte che seguirlo non gli procurerà nessuna sicurezza umana. Tutt'altro! «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». Non si può essere cristiani per vantaggi materiali di nessun tipo. Oggi, per fortuna, a differenza di altri tempi, questo è chiaro a tutti. E non ce ne dobbiamo dispiacere, ma ringraziare Dio.

A un altro personaggio Gesù stesso rivolge l'invito: «Seguimi». Il tipo è disponibile, chiede soltanto di compiere un'opera di misericordia: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». La risposta di Gesù è tanto dura che i traduttori della Bibbia hanno cercato spesso di addolcirla. Ma la durezza rimane, ed è un avvertimento onesto e necessario, perché scegliere di dedicarsi al regno di Dio potrebbe richiedere grandi rinunce terrene. Altrimenti come si spiegherebbero i martiri? La risposta al terzo personaggio: «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio», che chiede semplicemente di andare a salutare "quelli di casa", è forse quella che ci riguarda di più. Coloro che arano il campo (non con le macchine agricole di oggi, ma con l'aratro trainato dai buoi) se guardano in dietro, fanno solchi storti. Questi siamo noi che un po' seguiamo Gesù e un po' guardiamo in dietro, tentati dalla nostalgia di ciò che seguire Gesù ci ha convinti a lasciare.

Come se non bastasse, a queste esigenze così radicali, si aggiunge la difficoltà che coloro che decidono di seguire Gesù per andare a Gerusalemme non trovano per strada applausi e medaglie, ma "Samaritani" che li ostacolano, e ai quali non si deve rispondere invocando "fuoco dal cielo che li consumi". Di fronte a questa quadro, esistono due possibilità: lasciare perdere, oppure pregare "ad alta voce" (con tutte le forze) come il padre del fanciullo epilettico: "Signore, io credo; ma tu aiuta la mia incredulità!" (Cfr. Mc 9,23).

Un altro incoraggiamento ci viene dal fatto che queste condizioni, esposte da Gesù mentre cammina verso Gerusalemme, ci dicono che la scelta richiede una "ferma decisione", cioè un sì senza tentennamenti, ma la sua attuazione è un cammino, durante il quale, anche se a volte siamo tentati dal bisogno di sicurezze umane, altre volte dagli affetti e dalle amicizie, altre volte ancora dalla nostalgia di ciò che abbiamo lasciato, l'importante è riprendere a camminare, sapendo che Gesù è paziente e ci aspetta come ha fatto con i sui discepoli.


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