Dove troveremo tanto pane?

XVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2018

La folla affamata che segue Gesù è un'immagine attualissima delle folle di poveri che arrivano nel nostro paese in cerca non soltanto di pane materiale. Qual è la nostra risposta?

Il vangelo della moltiplicazione del pane e dei pesci, conosciutissimo e commentatissimo, sia per la sua "spettacolarità" (dopo di esso i presenti volevano farlo re), sia per i suoi rimandi chiarissimi all'Eucaristia, un altro segno addirittura umanamente impensabile, ci si ripropone sempre con la sua ficcante attualità.
Le folle affamate che si spostano in cerca di una vita migliore, almeno più decente, è ormai il problema più assillante non solo per i governi, ma anche per tutti noi. Di fronte a questi poveri affamati, in tutti – politici, trasmissioni televisive, discorsi della gente – sorge la stessa domanda che Filippo pose a Gesù: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».

La domanda è la stessa. Quali sono le risposte? La più gettonata è che ci deve pensare qualcun altro. Per noi privati è lo Stato che deve provvedere. Per gli Stati ci devono pensare gli altri Stati, o almeno un po' per uno. Per i soliti "duri e puri" ci devono pensare i poveri stessi che devono rimanersene a casa loro, e devono smettere di moltiplicarsi come cavallette. Per gli "scienziati" da salotto e da dibattiti televisivi il problema, come sempre, è un altro: siamo troppi sulla terra e i suoi prodotti non bastano più, perciò bisogna trovare il modo scientifico per diminuire i commensali.

Qual è oggi la risposta di Gesù? Quella di allora e di sempre: «Voi stessi date loro da mangiare», come riferiscono Marco (6,37), Matteo (14,16), Luca (9,13), mentre Giovanni, dandola per conosciuta, dedica la sua attenzione a fornire l'indicazione per evitare che si risponda che non è possibile accoglierli tutti; che ci pensino gli altri; che se ne stiano a casa loro.
Quale sarebbe l'indicazione per accoglierli? È chiarissima: "Basta che tutti, come quel ragazzino, mettano a disposizione i cinque pani d'orzo e due pesci, che sicuramente hanno, perché ci sia da mangiare per tutti, e ne avanzino dodici canestri". È la soluzione che papa Francesco non si stanca di predicare.

"Predica bene lui. Ma perché non se li prende in Vaticano?", protestano coloro a cui del papa non gliene importa niente e, purtroppo, bofonchiano sotto sotto anche tanti di coloro che dovrebbero accogliere la sua parola come quella di Gesù, che con lui ci ripete: «Voi stessi date loro da mangiare».

Ciò non vuol dire che dobbiamo andare personalmente nei porti ad accogliere i profughi, o che dobbiamo recarci nei Paesi africani o mediorientali a trattare con i loro governi, ma che dobbiamo essere attenti a non lasciarci convincere da proposte contrarie a quelle del vangelo, o che addirittura tentano di ridicolizzarle. La testimonianza cristiana, forse più importante di quella della Caritas, è sapere dare ragione delle nostre convinzioni. E non pensiamo che esse non pesino e non valgano. Pesano e valgono tantissimo, perché "quelli dei piani alti" che decidono, lo fanno non tanto per sfamare i poveri, quanto per accontentare quello che pensa la gente al fine di trarre vantaggio.

Noi cristiani siamo sempre tra i più generosi a tirare fuori dalla nostra bisaccia "venti pani d'orzo e grano novello" come l'ospite di Eliseo, o i cinque pani e due pesci del ragazzino di Andrea. Non lo siamo altrettanto nel diffondere e difendere la proposta di Gesù come l'unica che, anche razionalmente, è in grado di affrontare questo epocale problema. Infatti, se non si accetta, come ci ricorda san Paolo, che c'è "un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti", non soltanto non si troverà pane per le folle affamate, ma si finirà a combatterci per rubarcelo a vicenda.


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