Evitare l'«effetto Nazaret»

XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2018

Rischiamo di essere come i compaesani di Gesù se lui è sì "il salvatore" e tanti bei titoli ma, per noi come per loro, alla fine è solo "il falegname", cioè uno come tanti che non sposta niente nella nostra vita concreta.

Gesù, per i segni straordinari (i miracoli) e l'insegnamento nuovo rispetto a quello logoro e stantio degli scribi e dei sacerdoti, è ormai conosciuto in tutto il territorio del lago di Genesaret. Perciò, quando torna a Nazaret non si aspetta la banda, ma un'accoglienza compiaciuta sì. Invece trova soltanto commenti di fastidio e incredulità: "Non è costui il falegname? Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data?".
Gesù non rimane indifferente, ma "si meraviglia della loro incredulità". È bellissimo questo inciso dell'evangelista Marco che non dimentica mai di aprire spiragli sull'umanità di Gesù, ai quali purtroppo non siamo attenti, e che invece sono importantissimi, perché ci ricordano che Gesù era un uomo vero, perciò da imitare anche come esempio di umanità vera e genuina.

Ma torniamo alla delusione di Gesù di fronte all'indifferenza dei suoi compaesani. C'è un messaggio per noi in questo episodio? C'è, ed è molto impegnativo, perché è un allarme: stiamo attenti a non diventare come i suoi compaesani. Questo accadrebbe se Gesù non suscitasse più in noi nessuna meraviglia, nessuna gioia, nessun entusiasmo; se diventasse per noi quello che per i nazareni era soltanto "il falegname", cioè uno come tanti.

"È possibile che questo accada?". Purtroppo sì. Si verifica quando al posto de "il falegname" ci mettiamo "il Figlio di Dio", "il Salvatore"..., tutti i bei titoli che abbiamo imparato dal catechismo e dalle prediche, ma senza che egli sposti niente nella nostra vita. Cristiani da sempre, la fede in lui non ha più nessuna reale incidenza nella nostra vita concreta di ogni giorno.

Come evitare l'«effetto Nazaret» e come uscire da esso, semmai si fosse realizzato?
Ci risponde la parola di Dio, ricordandoci che siamo profeti, cioè non soltanto gente che crede in Dio, ma che accetta la missione di parlare in suo nome. Battezzati in Cristo, sacerdote, re e profeta, anche a noi il Signore dice: "Figlio dell'uomo, io ti mando ai figli d'Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me... Ascoltino o non ascoltino, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro".
Traduciamo "figli d'Israele" con: familiari, colleghi di lavoro, amici, gente che incontriamo ogni giorno per i motivi più diversi, e comprendiamo la differenza tra essere cristiani come i compaesani di Gesù e cristiani con l'impegno e il coraggio di essere profeti.

Purtroppo siamo stati talmente disabituati a pensare la fede come profetismo, da relegare questo compito soltanto ai grandi campioni della fede che la Provvidenza ogni tanto suscita anche nel nostro oggi, come papa Giovanni XXIII, don Primo Mazzolari, don Milani, don Pino Puglisi, don Tonino Bello, e in testimoni particolarmente esemplari come Chiara Luce Badano, Chiara Corbella... Invece per tutti la fede è profezia, perché tutti i cristiani devono essere coloro che disturbano e inquietano tutto ciò che è appiattito sulla mentalità umana, sul conformismo, sull'abitudinario, sul banale, sulla chiusura ai grandi orizzonti di Dio.

Cristiani come Gesù! Egli non è stato un uomo pio, chiuso nelle sue preghiere e nelle sue pratiche religiose. È andato girando di città in città, di paese in paese parlando a nome di Dio, predicando e testimoniando la necessità di vivere la carità, la misericordia, il perdono, la pace, la giustizia.

Pur nella nostra grandissima piccolezza, possiamo essere cristiani come Gesù, accogliendolo con entusiasmo, e imitandolo pur con i nostri limiti.
Non è straordinario anche soltanto provarci?


Condividi

evitare-l-effetto-nazaret.html

Articoli correlati

Newsletter

Iscriviti alla newsletter per essere sempre aggiornato su iniziative e novità editoriali
Figlie di San Paolo © 2024 All Rights Reserved.
Powered by NOVA OPERA